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Il Fuorilegge della Palude
Il blog di Beniamino Natale/ Storie sull' Asia, il giornalismo e (forse) altro...
sabato 22 dicembre 2012
martedì 27 novembre 2012
Lhasa citta' chiusa...
...a causa delle immolazioni...oggi altre quattro, siamo a 85....qui sotto il pezzo che ho scritto ieri per l' ANSA sulle restrizioni sui viaggi a Lhasa per tutti i tibetani non residenti...
ANSA/ CINA: TIBET; ATTIVISTI DENUNCIANO, 'LHASA CITTA' CHIUSA'
MOVIMENTI TIBETANI LIMITATI PER CONTENERE 'AUTOIMMOLAZIONI'
(di Beniamino Natale)
(ANSA) - PECHINO, 26 NOV - Dalla scorsa primavera, con una decisione tesa probabilmente a contenere le ''autoimmolazioni'' dei tibetani - i suicidi di protesta contro la politica cinese nel territorio - Pechino ha reso estremamente difficile per i tibetani recarsi a Lhasa, la capitale storica del Tibet e centro spirituale del buddhismo tibetano.
''La situazione a Lhasa è al maggior punto di tensione da
anni, e i tibetani sono sotto la forte impressione di diventare
stranieri nel loro stesso Paese e di essere vittime di chiara
discriminazione razziale'', ha dichiarato in un'intervista
all'ANSA Nicholas Bequelin, ricercatore per la Cina del gruppo umanitario Human Rights Watch. ''Non abbiamo notizie di misure simili per residenti Han (cinesi) o Hui (musulmani di origine cinese)'', aggiunge Bequelin.
Tenzin, 38 anni, tibetano, nato nella provincia cinese del
Qinghai, conferma: ''Volevo andare Lhasa qualche mese fa ma ho rinunciato, era troppo complicato'', ha raccontato all' ANSA.
''Mi hanno chiesto una lettera di garanzia (dan bao in cinese)
di un residente, e anche se fossi riuscito a trovare qualcuno
che me la faceva, avrei avuto un permesso per soli tre
giorni...''. ''Andare a Lhasa da Xining (la capitale del
Qinghai, dove Tenzin lavora come autista) e' molto costoso, non ha senso per me andarci solo per tre giorni. Inoltre quando ci vado voglio visitare i principali centri buddhisti che si trovano nella citta' e nelle sue vicinanze, in tre giorni non ce la posso fare'', ha proseguito Tenzin.
Secondo Bequelin, ''le autorita' di Lhasa stanno continuando la loro campagna per il controllo della popolazione tibetana iniziata nei primi mesi di quest'anno. Questa campagna è senza precedenti perché prende di mira non solo persone non registrate a Lhasa ma anche molti che hanno un permesso di residenza temporaneo in ordine, specialmente persone che provengono dalla
parte Est del Tibet''. ''Ci sono delle disposizioni speciali in
particolare per la provincia del Sichuan dato che sono il luogo in cui ci sono state la maggior parte dei casi di
autoimmolazione'', precisa l'esponente di Human Rights Watch.
Le autoimmolazioni sono state fino ad oggi 81. Dopo la prima, avvenuta nel 2009 ad Aba (Ngaba in tibetano), nella provincia del Sichuan, tutte le altre si sono verificate a partire dal marzo 2011. Di queste, 33 hanno avuto luogo ad Aba o nella vicina prefettura di Qiang. Secondo i siti web degli esuli tibetani, prima di morire gli ''autoimmolati'' lanciano slogan per il ritorno in Tibet del Dalai Lama, il leader spirituale del buddhismo tibetano, che vive in esilio dal 1959, e per l'indipendenza del territorio dalla Cina.(ANSA).
ANSA/ CINA: TIBET; ATTIVISTI DENUNCIANO, 'LHASA CITTA' CHIUSA'
MOVIMENTI TIBETANI LIMITATI PER CONTENERE 'AUTOIMMOLAZIONI'
(di Beniamino Natale)
(ANSA) - PECHINO, 26 NOV - Dalla scorsa primavera, con una decisione tesa probabilmente a contenere le ''autoimmolazioni'' dei tibetani - i suicidi di protesta contro la politica cinese nel territorio - Pechino ha reso estremamente difficile per i tibetani recarsi a Lhasa, la capitale storica del Tibet e centro spirituale del buddhismo tibetano.
''La situazione a Lhasa è al maggior punto di tensione da
anni, e i tibetani sono sotto la forte impressione di diventare
stranieri nel loro stesso Paese e di essere vittime di chiara
discriminazione razziale'', ha dichiarato in un'intervista
all'ANSA Nicholas Bequelin, ricercatore per la Cina del gruppo umanitario Human Rights Watch. ''Non abbiamo notizie di misure simili per residenti Han (cinesi) o Hui (musulmani di origine cinese)'', aggiunge Bequelin.
Tenzin, 38 anni, tibetano, nato nella provincia cinese del
Qinghai, conferma: ''Volevo andare Lhasa qualche mese fa ma ho rinunciato, era troppo complicato'', ha raccontato all' ANSA.
''Mi hanno chiesto una lettera di garanzia (dan bao in cinese)
di un residente, e anche se fossi riuscito a trovare qualcuno
che me la faceva, avrei avuto un permesso per soli tre
giorni...''. ''Andare a Lhasa da Xining (la capitale del
Qinghai, dove Tenzin lavora come autista) e' molto costoso, non ha senso per me andarci solo per tre giorni. Inoltre quando ci vado voglio visitare i principali centri buddhisti che si trovano nella citta' e nelle sue vicinanze, in tre giorni non ce la posso fare'', ha proseguito Tenzin.
Secondo Bequelin, ''le autorita' di Lhasa stanno continuando la loro campagna per il controllo della popolazione tibetana iniziata nei primi mesi di quest'anno. Questa campagna è senza precedenti perché prende di mira non solo persone non registrate a Lhasa ma anche molti che hanno un permesso di residenza temporaneo in ordine, specialmente persone che provengono dalla
parte Est del Tibet''. ''Ci sono delle disposizioni speciali in
particolare per la provincia del Sichuan dato che sono il luogo in cui ci sono state la maggior parte dei casi di
autoimmolazione'', precisa l'esponente di Human Rights Watch.
Le autoimmolazioni sono state fino ad oggi 81. Dopo la prima, avvenuta nel 2009 ad Aba (Ngaba in tibetano), nella provincia del Sichuan, tutte le altre si sono verificate a partire dal marzo 2011. Di queste, 33 hanno avuto luogo ad Aba o nella vicina prefettura di Qiang. Secondo i siti web degli esuli tibetani, prima di morire gli ''autoimmolati'' lanciano slogan per il ritorno in Tibet del Dalai Lama, il leader spirituale del buddhismo tibetano, che vive in esilio dal 1959, e per l'indipendenza del territorio dalla Cina.(ANSA).
Mazzette e meritocrazia
Ecco qui sotto il mio contributo al dibattito lanciato su China Files da Simone Pieranni (e l' articolo dello stesso Simone). Per chi se lo vuole leggere sullo stesso China Files, il link e': http://china-files.com/it/link/23805/meritocrazia-delle-mazzette.
Caro Simone,
per usare una frase fatta cinese, sono d' accordo al 30% e in disaccordo al 70%…Non mi pare infatti che la meritocrazia abbia un grande ruolo nel decidere le carriere interne al Partito Comunista Cinese. Ne' mi pare che il tradizionale sistema confuciano - basato sull' apprendimento a memoria stimolato dalle bastonate - sia quello migliore per produrre uomini capaci di decisioni rapide, prese in modo indipendente e rischiando di sbagliare, rischio al quale nessun essere umano si puo' sottrarre.
Una decina d' anni fa ero appena arrivato a Pechino quando scoppio' l 'epidemia di SARS. Tra poco, in occasione del decennale, ho intenzione di scrivere una cosa piu' lunga e piu' pensata di questa che butto giu' non proprio al volo, ma quasi…Per ora basti dire che la Sars mi dette il privilegio di vedere subito, paracadutato in Cina senza capire una parola di cinese (oggi ne capisco poche di piu') e soprattutto del Paese (che oggi capisco appena un pochino di piu') , il Re nudo. Hu Jintao aveva appena preso il potere e, come direbbero i nostri amici anglosassoni, "…he was nowhere to be seen"…non risultava…Solo qualche funzionario, occasionalmente, era mandato a fronteggiare i giornalisti (e l' opinione pubblica cinese), e in genere facevano figure barbine.
Ogni giorno il mio ufficio e quelli di altri mezzi d' informazione ricevevano telefonare di medici ed infermieri che ci dicevano che gli ospedali erano pieni di malati, mentre Hu&company continuavano a negare. Arrivarono a iniziative grottesche, tipo quella di acconsentire ad una visita dei giornalisti in alcuni ospedali solo per portare via i malati di SARS poco prima del nostro arrivo, facendoli girare per quattro ore sulle ambulanze che andavano in giro su e giu' per la citta' a siriene spiegate!
Un gruppo di dirigenti del partito di Pechino (del quale sono sicuro facesse parte Wu Yi, sugli altri di cui si parla, come Wang Qishan, non ci giurerei) lo tirarono per la manica solo DOPO che il dottor Jiang Yanyong aveva denunciato la serieta' della situazione alla stampa internazionale.
Jiang non e' stato poi perseguitato, ma quasi. Paragoniamo la sua situazione, per esempio, a quella di Li Keqiang, fresco di promozione a numero due, che era uno dei massimi dirigenti nell' Henan quando scoppio' l' epidemia di AIDS provocata dalle trasfusioni fatte negli ospedali e promosse dai funzionari locali. Li o non se ne e' accorto, o se ne e' accorto e ha contribuito alla copertura. Come meritocrazia non c' e' male!
Potremmo continuare, per esempio con Hu Jia, se vogliamo rimanere sul terrenno dell 'AIDS o su dirigenti palesemente incapaci (uno su tutti: Wu Bangguo, cosa cavolo ha fatto per dieci anni, oltre alla politichetta di Partito - e a sistemare la situazione finanziaria della famiglia, come molti altri?). Che io sappia, un fattore molto importante per le promozioni e' il rispetto delle "quote" - quelle delle nascite che non devono superare una certa soglia, per esempio, o quelle del PIL - cosa che e' alla base di tante ingiustizie (le requisizioni delle terre) e atrocita' (gli aborti forzati)… Questo, senza parlare dei posti di responsabilita' che vengono messi all' asta e venduti al miglior offerente, una pratica che mi dicono piuttosto diffusa, o della corruzione che gli stessi dirigenti comunisti, ultimo Xi Jinping, non si stancano di denunciare…se il sistema di selezione funzionasse cosi' bene, non ci dovrebbero essere molti meno corrotti in giro in posizioni di responsabilita'?
Ma veniamo al 30% sul quale concordo. Io penso che la Cina faccia parte di una , come vogliamo chiamarla, "unita' culturale" che comprende anche Corea e Giappone, che secondo me sono entrambe abbastanza avanti - piu' avanti di molti paesi occidentali e anche della Cina - nella sintesi tra individualismo e creativita' occidentali e pragmatismo e rispetto della collettivita' degli orientali, una sintesi che credo sia matura - e necessaria per il progresso dell' umanita' . Guardando a come il Giappone ha affrontato la serie di disastri dell' anno scorso, il senso di responsabilita' che tutti sentivano verso la collettivita', sono rimasto veramente impressionato…e confesso che mi ha impressionato anche il portavoce del governo, Yukio Edano, che ogni giorno si presentava ai giornalisti, e piu' di una volta ci ha "messo la faccia" lo stesso (allora) primo ministro Naoto Kan…non conosco ne Noda, ne Zhang Weiwei, ma che differenza con Hu Jintao e il resto del governo cinese durante la SARS!
E, senza entrare nei dettagli, della Corea del Sud mi ha colpito il modo nel quale hanno superato la crisi del 1997, guardando "pragamaticamente" quali erano le carte che il Paese aveva e giocandosele tutti insieme, sinistra, destra, sindacati e industriali - e questo in un Paese nel quale in piazza si prendono a mazzate, proprio come noi…Uno spirito che hanno dimostrato anche i cinesi che hanno aperto la strada al miracolo economico degli ultimi anni, da Deng Xiaoping stesso a Hu Yaobang e Zhao Ziyang…e soprattutto, tutti gli "uomini della strada" che col lavoro e con la loro intelligenza hanno veramente fatto il miracolo di questi anni (l' economia infatti la fanno i cittadini, non, come erroneamente alcuni pensano, i governi…). Insomma, in conclusione penso che ci sia qualcosa di importante che dobbiamo imparare da cinesi, coreani e giapponesi, che non si chiedono "cos' e' questo?" ma "come posso farlo?"…pero', confondere questo con l' autoritarismo ottocentesco dei principini di Pechino mi sembra assolutamente sbagliato…
Qui sotto, l' articolo di Simone Pieranni:
Per dire del salto quantico e della forza del soft power cinese. Ancora in Italia stiamo a confrontare Occidente e Cina dando per buoni due modelli scontati: democrazia e dittatura. Laddove invece esiste un confronto meno da stadio, ormai il passaggio è compiuto. Influenti intellettuali internazionali, esperti di Cina e non solo, sono ormai concordi nell'affermare come i modelli in contrasto e in perenne confronto siano ormai la democrazia (occidentale) e la meritocrazia (cinese). Lo hanno fatto autorevoli autori, di recente, dopo la chiusura del diciottesimo Congresso, sulle pagine del Financial Times e delNew York Times, dando vita ad un dibattito interessante, che sta già scatenando risposte, reazioni, precisazioni. E più di tutto conoscenza sul modello politico cinese.
Cosa significa dunque meritocrazia cinese contro democrazia occidentale? Significa forse che il modello politico cinese – non quello economico, si badi bene – può essere ormai un serio contraltare a quello occidentale? Sì e no. Sì perché manifesta una precisa preparazione dei «quadri» che ascendono al potere, no perché si nutre di storiche caratteristiche «cinesi» che risiedono, per essere tranchant, nel confucianesimo e nella filosofia cinese e nel peculiare sistema politico a partito unico, rimedio ad ora valido per governare la nazione più popolosa del pianeta.
Partiamo da due spunti, uno pratico e politico, l'altro più comparitivo e filosofico. Ad esempio: in Occidente nessuno sa chi sia Hu Chunhua. È un giovane funzionario cinese, nato nel 1963. A detta di molti esperti di Cina, è uno dei leader della sesta generazione – in Cina il ricambio è decennale e «generazionale» facendo partire la prima generazione di leader con Mao Zedong - più prossimo a diventare il capo dei capi nel 2022. Giornalisticamente parlando, potremmo dire che se non farà la fine di Bo Xilai bruciandosi per guerre interne, ha buone chanche.
Perché? Perché Hu Chunhua è nato in una povera famiglia cinese nel 1963, ma è stato il primo della sua leva a entrare nella prestigiosa Università di Pechino. Entrare nelle università elitarie in Cina è faticoso: si studia come dannati, si superano molte prove a cui partecipano milioni – non migliaia – di persone. Una volta laureato, pagandosi gli studi lavorando come carpentiere, Hu Chunhua ha chiesto al Partito di andare volontario in Tibet. Lì ha iniziato la sua carriera nella Lega dei giovani comunisti.
All'epoca segretario del Tibet era Hu Jintao: per questo Hu Chunhua è chiamato «Il piccolo Hu». Ha un padrino di tutto rispetto. Hu Jintao – attuale e uscente Presidente e numero uno cinese – lo nota e lo tiene sott'occhio. Hu Chunhua passa vent'anni di «formazione» in Tibet. Ruolo da funzionario e imparare come soffocare il nodo più pesante per la Cina, la resistenza tibetana. Finito il periodo tibetano, viene mandato in Mongolia. Si tratta di un altro test, insieme a quelli attitudinali, psicologici e teorici cui viene sottoposto. Hu Chunhua viene formato, da anni, come funzionario «top» in Cina. In Mongolia nel 2011 tiene a bada una potenziale miccia sociale, una rivolta etnica. La sopprime e poi fa liberare «gli innocenti». È promosso: ora è segretario del Partito dell'Hebei. La partita cambia: non deve dimostrare di sapersi destreggiare nelle difficoltà, ma in una situazione ideale, in una di quelle zone che chiameremmo «roccaforte rossa», se la Cina fosse un paese con elezioni. Hu Chunhua è pronto, probabilmente, ma deve aspettare ancora cinque anni per entrare nel Comitato permanente. La sua preparazione non è ancora finita.
In Cina la chiamano «meritocrazia dall'alto». C'è anche la «democrazia in basso», ovvero le elezioni, proprio come da noi, per eleggere i rappresentati dei villaggi e così a salire. E in mezzo come suggerisce l'esperto di affari cinesi Daniel Bell sul Financial Times, «spazio alla sperimentazione». Ovvero ecco il movimento cinese: la «intra party democracy», la sola democrazia che piace ai leader cinesi. Ovvero il tentativo di garantire l'ascesa dei migliori lasciando spazio al voto di altri eletti. Il modo con il quale vengono eletti i membri del Comitato centrale e su a salire è uno dei misteri della Cina: di sicuro queste forme di «elezioni» di un partito unico cambieranno: l'idea ormai assodata è che il numero dei nomi dei papabili sarà destinato ad aumentare. In mezzo, appunto, si sperimenta.
E veniamo al nodo filosofico: Francois Jullien è un grecista, che è andato in Cina per trovare il distacco giusto dal suo oggetto di studio. Giunto in Cina ha deciso quindi di comparare, diventando uno dei massimi pensatori circa le differenza e le affinità tra i pensieri filosofici orientali e occidentali. Recentemente è stato recensito da Remo Bodei su Il Sole 24 ore. Qui però prendiamo spunto da un altro suo libro: Pensare con la Cina (ed. Mimesis). Jullien parte da un presupposto piuttosto intrigante: in Occidente siamo sempre stati abituati a ragionare riguardo il politico, tenendo presente anche una situazione «ideale». Ecco, dice Jullien, in Cina non c'è – né mai c'è stata – la metafisica. I cinesi non si chiedono, filosoficamente, «cosa è questo». Si chiedono «come posso farlo»? I giornalisti la chiamano praticità. Anche la tirannide, quindi, va lasciata correre, verso il suo inesauribile cammino anche di autodistruzione, nel momento in cui non assolva al suo compito.
E aggiunge Jullien, pensiamo alla parola rivoluzione, in cinese: geming. Letteralmente significa «rimuovere un mandato», non sovvertire. Appare complicato, ma si tratta semplicemente di un approccio. Del resto, specifica Jullien, le speculazioni occidentali sulle forme politiche nascono in difesa di uno status quo. E la Cina ha sempre sinizzato, non si è mai dovuta difendere, se non in tempi contemporanei, da occidentali e giapponesi, da forze esterne.
Un substrato culturale differente, su cui si innerva il confucianesimo, che pone dunque il modello cinese su traiettorie politiche «in movimento», in sperimentazione, rispetto ad un Occidente statico e ancora poco critico dell'attuale suo funzionamento democratico. Si badi bene: al contrario di alcuni osservatori - come recentemente è capitato a Loretta Napoleoni - non si sostiene che il modello cinese possa essere applicato a quello occidentale: si tratta però di riscontrarne alcune caratteristiche e funzionamenti che fanno si che in Cina, la meritocrazia sia stata perfezionata, abbia visto dei cambiamenti.
E arriviamo al punto politico attuale: il recente congresso del Partito è stato letto da osservatori internazionali come la vittoria dei conservatori. Ed è bizzarro che lo stesso congresso venga letto da intellettuali che si occupano di Cina, non dictator huggers, ma studiosi, come - invece - un passo avanti importante della «meritocrazia» cinese.
Che ha dei punti deboli e altri ancora da sviluppare e migliorare. Le sacche di privilegi e di corruzione sono ancora tante e solo un sistema giudiziario più trasparente e un'apertura a maggior libertà di dibattito anche sui media sembrano poter rimediare. Nel corso degli ultimi tre decenni, scrivono Daniel Bell ed Eric Li sul Financial Times, il Partito comunista è passato da un partito rivoluzionario a un partito «meritocratico». «Oggi, scrivono i due professori, le università sono i luoghi principali di reclutamento per i nuovi membri. Gli studenti hanno bisogno di punteggi straordinari per superare gli esami nazionali ed essere ammessi ad una università di elite che forma i futuri leader. Competono ferocemente per essere ammessi nel partito. Solo con alte prestazioni gli studenti sono ammessi e dopo aver superato approfonditi controlli».
Chi vuole «servire il popolo», deve passare esami di stato con milioni di richiedenti per un posto solo e una volta che sono «dentro» devono superare numerose valutazioni dei superiori per fare carriera. «Devono funzionare bene a livello delle amministrazioni locali e superare anche test caratteriali».
Di sicuro il sistema di scelta dei funzionari in Cina, però, funziona. Il Paese tiene, progredisce e studia il sistema per rinnovarsi. «I vantaggi della meritocrazia cinese sono chiari – specificano Daniel Bell ed Eric Li. I quadri sono sottoposti a un processo di selezione estenuante e solo quelli con un record di ottime prestazioni arrivano ai più alti livelli. Invece di sprecare tempo e denaro per campagne elettorale vuote di senso, i leader possono cercare di migliorare le loro conoscenze e le prestazioni. La Cina manda spesso i suoi leader ad imparare dalle migliori pratiche politiche all'estero».
Questo – è innegabile - è qualcosa che in Occidente non appare all'orizzonte. E che vale la pena domandare e indagare: la Cina è una potenza economica, con le sue peculiarità ma come dice Zhang Weiwei, professore della prestigiosa Fudan University, sulle pagine del New York Times, «non produrrà mai leader incapaci alla stregua di Bush o Noda in Giappone». Una bella rivincita per i dittatori. E un valido motivo per una discussione seria, anche in Italia, circa la meritocrazia cinese e i modelli politici per questo mondo globalizzato.
Cosa significa dunque meritocrazia cinese contro democrazia occidentale? Significa forse che il modello politico cinese – non quello economico, si badi bene – può essere ormai un serio contraltare a quello occidentale? Sì e no. Sì perché manifesta una precisa preparazione dei «quadri» che ascendono al potere, no perché si nutre di storiche caratteristiche «cinesi» che risiedono, per essere tranchant, nel confucianesimo e nella filosofia cinese e nel peculiare sistema politico a partito unico, rimedio ad ora valido per governare la nazione più popolosa del pianeta.
Partiamo da due spunti, uno pratico e politico, l'altro più comparitivo e filosofico. Ad esempio: in Occidente nessuno sa chi sia Hu Chunhua. È un giovane funzionario cinese, nato nel 1963. A detta di molti esperti di Cina, è uno dei leader della sesta generazione – in Cina il ricambio è decennale e «generazionale» facendo partire la prima generazione di leader con Mao Zedong - più prossimo a diventare il capo dei capi nel 2022. Giornalisticamente parlando, potremmo dire che se non farà la fine di Bo Xilai bruciandosi per guerre interne, ha buone chanche.
Perché? Perché Hu Chunhua è nato in una povera famiglia cinese nel 1963, ma è stato il primo della sua leva a entrare nella prestigiosa Università di Pechino. Entrare nelle università elitarie in Cina è faticoso: si studia come dannati, si superano molte prove a cui partecipano milioni – non migliaia – di persone. Una volta laureato, pagandosi gli studi lavorando come carpentiere, Hu Chunhua ha chiesto al Partito di andare volontario in Tibet. Lì ha iniziato la sua carriera nella Lega dei giovani comunisti.
All'epoca segretario del Tibet era Hu Jintao: per questo Hu Chunhua è chiamato «Il piccolo Hu». Ha un padrino di tutto rispetto. Hu Jintao – attuale e uscente Presidente e numero uno cinese – lo nota e lo tiene sott'occhio. Hu Chunhua passa vent'anni di «formazione» in Tibet. Ruolo da funzionario e imparare come soffocare il nodo più pesante per la Cina, la resistenza tibetana. Finito il periodo tibetano, viene mandato in Mongolia. Si tratta di un altro test, insieme a quelli attitudinali, psicologici e teorici cui viene sottoposto. Hu Chunhua viene formato, da anni, come funzionario «top» in Cina. In Mongolia nel 2011 tiene a bada una potenziale miccia sociale, una rivolta etnica. La sopprime e poi fa liberare «gli innocenti». È promosso: ora è segretario del Partito dell'Hebei. La partita cambia: non deve dimostrare di sapersi destreggiare nelle difficoltà, ma in una situazione ideale, in una di quelle zone che chiameremmo «roccaforte rossa», se la Cina fosse un paese con elezioni. Hu Chunhua è pronto, probabilmente, ma deve aspettare ancora cinque anni per entrare nel Comitato permanente. La sua preparazione non è ancora finita.
In Cina la chiamano «meritocrazia dall'alto». C'è anche la «democrazia in basso», ovvero le elezioni, proprio come da noi, per eleggere i rappresentati dei villaggi e così a salire. E in mezzo come suggerisce l'esperto di affari cinesi Daniel Bell sul Financial Times, «spazio alla sperimentazione». Ovvero ecco il movimento cinese: la «intra party democracy», la sola democrazia che piace ai leader cinesi. Ovvero il tentativo di garantire l'ascesa dei migliori lasciando spazio al voto di altri eletti. Il modo con il quale vengono eletti i membri del Comitato centrale e su a salire è uno dei misteri della Cina: di sicuro queste forme di «elezioni» di un partito unico cambieranno: l'idea ormai assodata è che il numero dei nomi dei papabili sarà destinato ad aumentare. In mezzo, appunto, si sperimenta.
E veniamo al nodo filosofico: Francois Jullien è un grecista, che è andato in Cina per trovare il distacco giusto dal suo oggetto di studio. Giunto in Cina ha deciso quindi di comparare, diventando uno dei massimi pensatori circa le differenza e le affinità tra i pensieri filosofici orientali e occidentali. Recentemente è stato recensito da Remo Bodei su Il Sole 24 ore. Qui però prendiamo spunto da un altro suo libro: Pensare con la Cina (ed. Mimesis). Jullien parte da un presupposto piuttosto intrigante: in Occidente siamo sempre stati abituati a ragionare riguardo il politico, tenendo presente anche una situazione «ideale». Ecco, dice Jullien, in Cina non c'è – né mai c'è stata – la metafisica. I cinesi non si chiedono, filosoficamente, «cosa è questo». Si chiedono «come posso farlo»? I giornalisti la chiamano praticità. Anche la tirannide, quindi, va lasciata correre, verso il suo inesauribile cammino anche di autodistruzione, nel momento in cui non assolva al suo compito.
E aggiunge Jullien, pensiamo alla parola rivoluzione, in cinese: geming. Letteralmente significa «rimuovere un mandato», non sovvertire. Appare complicato, ma si tratta semplicemente di un approccio. Del resto, specifica Jullien, le speculazioni occidentali sulle forme politiche nascono in difesa di uno status quo. E la Cina ha sempre sinizzato, non si è mai dovuta difendere, se non in tempi contemporanei, da occidentali e giapponesi, da forze esterne.
Un substrato culturale differente, su cui si innerva il confucianesimo, che pone dunque il modello cinese su traiettorie politiche «in movimento», in sperimentazione, rispetto ad un Occidente statico e ancora poco critico dell'attuale suo funzionamento democratico. Si badi bene: al contrario di alcuni osservatori - come recentemente è capitato a Loretta Napoleoni - non si sostiene che il modello cinese possa essere applicato a quello occidentale: si tratta però di riscontrarne alcune caratteristiche e funzionamenti che fanno si che in Cina, la meritocrazia sia stata perfezionata, abbia visto dei cambiamenti.
E arriviamo al punto politico attuale: il recente congresso del Partito è stato letto da osservatori internazionali come la vittoria dei conservatori. Ed è bizzarro che lo stesso congresso venga letto da intellettuali che si occupano di Cina, non dictator huggers, ma studiosi, come - invece - un passo avanti importante della «meritocrazia» cinese.
Che ha dei punti deboli e altri ancora da sviluppare e migliorare. Le sacche di privilegi e di corruzione sono ancora tante e solo un sistema giudiziario più trasparente e un'apertura a maggior libertà di dibattito anche sui media sembrano poter rimediare. Nel corso degli ultimi tre decenni, scrivono Daniel Bell ed Eric Li sul Financial Times, il Partito comunista è passato da un partito rivoluzionario a un partito «meritocratico». «Oggi, scrivono i due professori, le università sono i luoghi principali di reclutamento per i nuovi membri. Gli studenti hanno bisogno di punteggi straordinari per superare gli esami nazionali ed essere ammessi ad una università di elite che forma i futuri leader. Competono ferocemente per essere ammessi nel partito. Solo con alte prestazioni gli studenti sono ammessi e dopo aver superato approfonditi controlli».
Chi vuole «servire il popolo», deve passare esami di stato con milioni di richiedenti per un posto solo e una volta che sono «dentro» devono superare numerose valutazioni dei superiori per fare carriera. «Devono funzionare bene a livello delle amministrazioni locali e superare anche test caratteriali».
Di sicuro il sistema di scelta dei funzionari in Cina, però, funziona. Il Paese tiene, progredisce e studia il sistema per rinnovarsi. «I vantaggi della meritocrazia cinese sono chiari – specificano Daniel Bell ed Eric Li. I quadri sono sottoposti a un processo di selezione estenuante e solo quelli con un record di ottime prestazioni arrivano ai più alti livelli. Invece di sprecare tempo e denaro per campagne elettorale vuote di senso, i leader possono cercare di migliorare le loro conoscenze e le prestazioni. La Cina manda spesso i suoi leader ad imparare dalle migliori pratiche politiche all'estero».
Questo – è innegabile - è qualcosa che in Occidente non appare all'orizzonte. E che vale la pena domandare e indagare: la Cina è una potenza economica, con le sue peculiarità ma come dice Zhang Weiwei, professore della prestigiosa Fudan University, sulle pagine del New York Times, «non produrrà mai leader incapaci alla stregua di Bush o Noda in Giappone». Una bella rivincita per i dittatori. E un valido motivo per una discussione seria, anche in Italia, circa la meritocrazia cinese e i modelli politici per questo mondo globalizzato.
sabato 24 novembre 2012
Immolazioni, parla Ai Weiwei
Ieri (il 23 novembre) abbiamo avuto notizia di un' altra immolazione di un giovane tibetano, sempre a Tongren o Rebkong. Ho chiamato Ai Weiwei, per chiedergli un commento. Ecco quello mi ha risposto, nel pezzo che ho scritto per l' ANSA. Intanto, c' e' stata un' altra immolazione, e siamo a ottanta. Chissa' quanto può' andare avanti.
ANSA/ TIBET:IMMOLAZIONI;AI WEIWEI ROMPE SILENZIO,SONO SCIOCCANTI
PER ARTISTA DISSIDENTE NECESSARIO 'ASCOLTARE I TIBETANI'
(di Beniamino Natale)
(ANSA) - PECHINO, 23 NOV - Il proseguire delle immolazioni dei tibetani è "scioccante" e ha creato una situazione che "deve preoccupare sia la Cina che la comunità internazionale". Lo ha detto in una dichiarazione all'ANSA l'artista e dissidente cinese Ai Weiwei, rompendo il silenzio degli intellettuali del Paese sul dramma dei suicidi ai quali decine di tibetani stanno ricorrendo per protestare contro la politica cinese nel territorio e chiedere il ritorno in patria del Dalai Lama, il leader buddhista e premio Nobel per la pace che vive in esilio in India dal 1959.
"L'unico modo per mettere fine a questa situazione è
ascoltare le voci dei tibetani, smettere di maltrattarli", ha
aggiunto Ai Weiwei. Fino ad ora solo lo scrittore Wang Lixiong e l'avvocato Teng Biao avevano parlato apertamente in favore dei tibetani e delle loro rivendicazioni.
Gran parte della Regione Autonoma del Tibet e delle altre
aree della Cina a popolazione tibetana sono di fatto chiuse agli osservatori stranieri dal 2008, quando un rivolta anti-cinese provocò la morte di circa 200 persone, secondo fonti tibetane.
Il governo di Pechino ha invece sempre parlato di una ventina di vittime, in grande maggioranza immigrati cinesi uccisi dai manifestanti tibetani a Lhasa, la capitale "storica" del Tibet.
L'accesso a Lhasa è stato severamente ristretto dopo che due immolazioni si erano verificate sulla piazza del Barkor, uno dei templi più importanti per i buddhisti tibetani. Oggi la città é inavvicinabile per la maggioranza dei tibetani residenti in altre aree della Cina. Particolari restrizioni, secondo i gruppi umanitari internazionali, sono state imposte ai residenti delle aree tibetane del Sichuan e del Qinghai, dove si sono verificate la maggior parte delle immolazioni.
Secondo i gruppi di tibetani in esilio, con quella di oggi le
immolazioni sono state 79 dal 2009 e 65 dall'inizio dell'anno.
Protagonista dell'ultima protesta è stato un giovane di 18
anni, Lubum Gyal, che secondo fonti degli esuli tibetani è
morto per le ustioni riportate. L'immolazione è avvenuta nella zona di Tongren (Rebkong in tibetano) nella provincia del Qinghai (nordovest della Cina).
La Cina accusa il Dalai Lama di "istigare" le immolazioni.
Il leader tibetano ha respinto le accuse. Secondo il governo
tibetano in esilio, che ha la sede in India, solo una ripresa
del dialogo tra Cina e rappresentanti tibetani può mettere fine alle immolazioni e riportare la pace nella regione.(ANSA).
ANSA/ TIBET:IMMOLAZIONI;AI WEIWEI ROMPE SILENZIO,SONO SCIOCCANTI
PER ARTISTA DISSIDENTE NECESSARIO 'ASCOLTARE I TIBETANI'
(di Beniamino Natale)
(ANSA) - PECHINO, 23 NOV - Il proseguire delle immolazioni dei tibetani è "scioccante" e ha creato una situazione che "deve preoccupare sia la Cina che la comunità internazionale". Lo ha detto in una dichiarazione all'ANSA l'artista e dissidente cinese Ai Weiwei, rompendo il silenzio degli intellettuali del Paese sul dramma dei suicidi ai quali decine di tibetani stanno ricorrendo per protestare contro la politica cinese nel territorio e chiedere il ritorno in patria del Dalai Lama, il leader buddhista e premio Nobel per la pace che vive in esilio in India dal 1959.
"L'unico modo per mettere fine a questa situazione è
ascoltare le voci dei tibetani, smettere di maltrattarli", ha
aggiunto Ai Weiwei. Fino ad ora solo lo scrittore Wang Lixiong e l'avvocato Teng Biao avevano parlato apertamente in favore dei tibetani e delle loro rivendicazioni.
Gran parte della Regione Autonoma del Tibet e delle altre
aree della Cina a popolazione tibetana sono di fatto chiuse agli osservatori stranieri dal 2008, quando un rivolta anti-cinese provocò la morte di circa 200 persone, secondo fonti tibetane.
Il governo di Pechino ha invece sempre parlato di una ventina di vittime, in grande maggioranza immigrati cinesi uccisi dai manifestanti tibetani a Lhasa, la capitale "storica" del Tibet.
L'accesso a Lhasa è stato severamente ristretto dopo che due immolazioni si erano verificate sulla piazza del Barkor, uno dei templi più importanti per i buddhisti tibetani. Oggi la città é inavvicinabile per la maggioranza dei tibetani residenti in altre aree della Cina. Particolari restrizioni, secondo i gruppi umanitari internazionali, sono state imposte ai residenti delle aree tibetane del Sichuan e del Qinghai, dove si sono verificate la maggior parte delle immolazioni.
Secondo i gruppi di tibetani in esilio, con quella di oggi le
immolazioni sono state 79 dal 2009 e 65 dall'inizio dell'anno.
Protagonista dell'ultima protesta è stato un giovane di 18
anni, Lubum Gyal, che secondo fonti degli esuli tibetani è
morto per le ustioni riportate. L'immolazione è avvenuta nella zona di Tongren (Rebkong in tibetano) nella provincia del Qinghai (nordovest della Cina).
La Cina accusa il Dalai Lama di "istigare" le immolazioni.
Il leader tibetano ha respinto le accuse. Secondo il governo
tibetano in esilio, che ha la sede in India, solo una ripresa
del dialogo tra Cina e rappresentanti tibetani può mettere fine alle immolazioni e riportare la pace nella regione.(ANSA).
martedì 20 novembre 2012
Obama a Rangoon, cinque domande e tre risposte
Prima della visita del presidente americano Barack Obama a Rangoon, il Washington Post ha scritto che c' erano cinque importanti domande alle quali avrebbe dovuto rispondere per rendere convicente questa sua iniziativa, coraggiosa e discutibile.
Proviamo a elencarle e a vedere le risposte che Obama ha dato, sul campo:
1. Chi avra' piu' visibilita' diplomatica: Aung San Suu Kyi o il presidente Thein Sein?
Direi che la vittoria ai punti d Aung San, la leader dell' opposizione democratica perseguitata per oltre due decenni dai militari, e' abbastanza chiara. Un po' perche' i media hanno dato piu' risalto a lei, un po' perche' Obama non e' andato nella capitale della giunta, Nay Pyi Taw, la pazzesca citta'-fantasma costruita per misteriose ragioni dai militari in piena giungla. Una cosa veramente insolita per un presidente straniero in visita. Di piu', Thein Sein si e' spostato lui, andando a Rangoon apposta per incontrarlo. Un punto per il presidente americano.
2. Obama offrira' al governo birmano qualcosa di tangibile?
Sembra che non l' abbia fatto, ma potrebbe aver promesso qualcosa a Sein, qualcosa che e' rimasta confidenziale. Diciamo che non lo sappiamo, tanto per andare sul sicuro. Zero punti.
3. Obama parlera' dei violenti scontri etnici, una questione che qui (in Birmania) e' molto delicata?
Ne ha parlato e come, nel suo discorso all' Universita' di Rangoon. E' stato uno dei "momenti alti" del suo discorso. Obama ha nominato i Rohingyas, la minoranza musulmana perseguitata dagli estremisti di etnia birmana e di religione buddhista, e ha fatto appello alla riconciliazione nazionale. Avviata la democratizzazione, quello dei rapporti tra la maggioranza birmana e le minoranze e' forse il problema piu' grave del paese. Obama l' affrontato, chiamando le cose col loro nome. Un punto.
4. Verra' discussa la Cina, e il gruppo regionale dell' ASEAN come un possibile contrappeso?
Bah! Obama ne ha parlato, sicuro, dicendo pero' cosa abbastanza vaghe. Che gli USA "danno il benvenuto", all' emergere delle nuove potenze asiatiche, Cina e India. Direi che su questo punto non ha dato risposte. Zero punti ma…
Ma ricordiamo che forse sotto questo punto di vista la sua presenza al vertice dell' ASEAN e' significativa di per se…come ha detto il suo collaboratore Thomas E. Donilon (che secondo alcuni potrebbe succedere a Hillary Clinton come segretario di Stato) : "…non stiamo solo riequilibrando (la nostra politica estera) verso l' Asia…stiamo anche riequilibrando i nostri sforzi all' interno dell' Asia. Per ragioni storiche e di altro tipo siamo stati fortemente presenti nell' Asia del nordest, ora stiamo guardando in modo nuovo all' Asia del sudest e all' ASEAN".
5. Chiamera' il paese Burma o Myanmar?
Obama ha scelto di chiamarlo Myanmar, il nome preferito dalla giunta militare, mentre gli esuli continuano a chiamarlo Birmania. Una concessione che direi necessaria, dato che in cambio il presidente 1.ha incontrato Aung San, 2.ha parlato, e ha parlato chiaramente, senza evitare i problemi "delicati" all' Universita' e 3.come ho sottolineato in precedenza non e' andato a Nay Pyi Taw.
Un membro della delegazione americana ha detto che si e' trattato di una "cortesia diplomatica". Ok, un punto.
Con questo non voglio santificare Obama ne negare la fondatezza delle obiezioni sollevate dagli esuli birmani. Come si dice in questi casi, sara' la storia a giudicare. Pero' il presidente americano ha certamente dimostrato di essere un grado di giocare all' attacco: il futuro e' in Asia e non solo nellla collaborazione-scontro con la Cina e tantomeno nel sempre piu' sterile conflitto tra israeliani e palestinesi (che prosegue sulle stesse vecchie strade dei bombardamenti e dell' estremismo anche per responsabilita' americane, ma questo e' un altro discorso). A favore del presidente americano, anche l' appello alla Corea del Nord: "...non dobbiamo essere definiti dalle prigioni del passato...".
Overall, direi tre a due per Obama. Buon risultato, ma il campionato e' appena cominciato...
Ecco il link con l' articolo del WP con le cinque domande:
e quello a un' interessante cronaca della visita, pubblicata dal Christian Science Monitor:
giovedì 15 novembre 2012
Cravatte rosse e capelli neri
La lista circolava da tempo, ed era proprio quella: il nuovo Comitato permanente dell' ufficio politico (Cpup) del Partito comunista cinese e' composto da sette persone (i nomi sono nel primo pezzo che pubblico qui di seguito). Portano tutti, meno uno, la cravatta rosso scuro. Il piu' giovane ha 59 anni ma non si vede un capello grigio.
Parlando di politica, ci sono cinque, forse sei uomini di Jiang Zemin e quattro principini. Queste sono le forze che governano la Cina, gira e rigira. I vecchi dirigenti che furono scelti da Jiang (e da Zhu Rongji) e poche decine di famiglie di ''grandi rivoluzionari'' che, tra l' altro, controllano tutte le imprese pubbliche e buona parte di quelle private.
Parlando di politica, ci sono cinque, forse sei uomini di Jiang Zemin e quattro principini. Queste sono le forze che governano la Cina, gira e rigira. I vecchi dirigenti che furono scelti da Jiang (e da Zhu Rongji) e poche decine di famiglie di ''grandi rivoluzionari'' che, tra l' altro, controllano tutte le imprese pubbliche e buona parte di quelle private.
Hu Jintao - nominato dall' autorevole Deng Xiaoping prima di morire - e il suo numero due Wen Jiabao (lo so, nella gerarchia comunista il presidente dell' Assemblea del popolo in teoria contava piu' del premier ma: 1.pare che nel nuovo set-up Li Keqiang sara' sia numero due che premier: in questo caso la regola sarebbe cambiata. 2.in questi anni e' stato Wu Bangguo, un personaggio del tutto insignificante) sembrano completamente cancellati.
Hu ha dalla sua Li Keqiang e, dicono, un forte peso nell' esercito: pero' per qualche ragione ha lasciato subito, oggi, il posto di presidente della Commissione militare centrale (Cmc) a Xi Jinping. Faccio tre ipotesi:
1.il sincero desiderio di non pesare sulla nuova generazione (lo so, non molto credibile, ma mi sento in dovere almeno di considerarla)
2.la volonta' di aspettare nell' ombra il momento adatto per tornare alla carica, magari tra cinque anni quando almeno quattro dei membri del Cpup nominato oggi saranno abbastanza vecchi da potere essere rottamati.
3.e' stato costretto - e qui non voglio dire altro, invito solo i lettori a ripensare a quello che la Bloomberg ha scritto su Xi Jinping e il New York Times su Wen Jiabao.
I nuovi saranno riformisti? Piu' o meno di Hu/Wen? Be', meno e' veramente difficile, dato che non hanno fatto niente. Inoltre, mentre Hu/Wen hanno potuto contare su una congiuntura economica eccezionale (fino al 2008, ma a quel punto avevano accumulato abbastanza riserve in valuta da far fronte a qualsiasi evenienza). Xi e i principini non hanno la stessa fortuna, e qualcosa dovranno fare.
Non che biondone Jiang mi sia piu' simpatico di robottino Hu e nonnetto Wen, per carita'! Pero' vi riporto qui sotto una battuta di Sindey Rittenberg, un grande esperto dalla Cina con una storia personale straordinaria (vi rimando al suo libro, The Man That Stayed Behind), che nel corso di un dibattito online ha detto tra l' altro: "…ci potrebbero essere delle aree nelle quali Jiang e' piu' riformatore di Hu…".
Chi non puo' contare su cambiamenti decisi sono i dissidenti e le minoranze. In particolare i tibetani che proseguono nella loro terribile forma di protesta, dandosi fuoco nel tentativo di richiamare l' attenzione del mondo (e magari di ispirare qualche atteggiamento meno servile verso i principini…).
Qui sotto metto il pezzo che ho scritto per l' ANSA ieri e due o tre cose che ho fatto nei giorni scorsi che mi sembrano interessanti...
ANSA/ CINA:NUOVA DINASTIA POTERE ROSSO SONO 'ANZIANI'DI JIANG
CHIUSO CONGRESSO, XI NUOVO LEADER. DOMANI IL COMITATO PERMANENTE
(di Beniamino Natale)
(ANSA) - PECHINO, 14 NOV - Il processo di successione ai vertici della Cina è entrato nel vivo con la conclusione, oggi, del 18/mo congresso del Partito Comunista, che ha eletto il nuovo comitato centrale. Domani, il cc eleggerà il Politburo, che a sua volta sceglierà i membri del suo Comitato permanente, cioé le persone che governeranno veramente quest'immenso Paese per i prossimi dieci
anni.
Secondo le indiscrezioni, i nuovi eletti nel Comitato
permanente dell'Ufficio politico (Cpup) che affiancheranno Xi
Jinping (nuovo segretario del Partito e prossimo presidente) e il suo numero due designato Li Keqiang, saranno cinque, tutti uomini di Jiang. Si tratta del vicepremier Wang Qishan, del responsabile della censura Liu Yunshan e dei segretari del partito di tre metropoli: Zhang Dejiang (Shanghai), Yu
Zhengsheng (Shanghai) e Zhang Gaoli (Tianjin). L'unica donna "papabile", Liu Yandong, e il riformista leader della
provincia del Guangodong, Wang Yang, sembrano esclusi dai giochi per il Cpup ma probabilmente entreranno nell'Ufficio politico.
Il congresso è venuto alla fine di un anno difficile per il
Partito Comunista Cinese, che ha conosciuto la crisi politica
più grave degli ultimi 20 anni con la caduta dell'ex leader
emergente Bo Xilai, oggi in attesa di essere processato per
corruzione e abuso di potere. Tre mesi fa sua moglie Gu Kailai é stata condannata all'ergastolo per l'assassinio del
faccendiere britannico Neil Heywood.
Nello staliniano Palazzo dell'Assemblea del popolo su piazza Tiananmen, la liturgia del più grande partito comunista di tutti i tempi - oggi ha circa 82 milioni di iscritti - è stata rispettata in tutti i dettagli: bandiere rosse intorno alla piazza, i 2270 delegati seduti come ordinati scolari nella sala principale, un enorme falce e martello sopra le teste dei membri "presidum" del congresso e del comitato centrale uscente.
"Ci sono voti contrari?", chiede con voce tonante lo speaker
dopo aver illustrato ciascun emendamento alla costituzione del partito. "Nessuno", "nessuno", "nessuno", rispondono dalla sala i portavoce delle commissioni di lavoro. Alla fine, tutti in piedi mentre la banda dei fiati dell' Esercito di Liberazione Popolare suona un'assordante Internazionale.
La nuova costituzione non ha riservato sorprese, neanche i timidi cambiamenti che qualcuno aveva dato per possibili: il
"pensiero di Mao Zedong", il fondatore della Repubblica
popolare, rimane la base del pensiero del partito, insieme al
"marxismo-leninismo" e alle sue elaborazioni da parte dei
leader cinesi che si sono succeduti negli anni: Deng Xiaoping, Jiang Zemin, e l' ultimo arrivato Hu Jintao, con la sua teoria dello "Sviluppo scientifico".
Teorie a parte, domani Hu Jintao (70 anni) lascerà la carica
di segretario del partito a Xi Jinping (59), capofila della
quinta generazione di leader comunisti. In primavera, Hu cederà a Xi anche la poltrona di presidente della Repubblica. Non è ancora chiaro se Hu conserverà per qualche tempo la carica di presidente della potente Commissione militare centrale (Cmc), che controlla l' esercito. Certo è che Hu è stato emarginato nella preparazione del congresso, dominata dagli "anziani", ricomparsi sulla scena alla vigilia del conclave guidati dall'intramontabile Jiang Zemin che, a 86 anni, sembra essere rimasto l'uomo che ha l'ultima parola, almeno sull'organizzazione interna del partito.(ANSA).
LA POLITICA NON E' PER LE DONNE
(pubblicato dall' ANSA il 3.11.2012)
Il cambio della guardia ai vertici della Cina parte la settimana prossima, con l' apertura del 18esimo congresso del Partito Comunista, ma anche questa volta e' difficile che una donna riesca a entrare nella stanza dei bottoni. Tra i candidati al Comitato Permanente dell' Ufficio Politico (Cpup), c' e' solo una donna e la maggior parte degli osservatori ritiene sicuro che non verra' scelta tra i sette (sembra) ''uomini d' oro'' che faranno parte di quello che e' stato definito ''il vero governo'' della Cina.
Liu Yangdon, 67 anni, e' l' unica donna tra i 25 membri del Politburo.
E' figlia di un ex-alto dirigente del partito di Shanghai ed ex-viceministro dell' agricoltura e nel corso della sua carriera si e' dimostrata capace senza mettersi troppo in vista. Come responsabile del partito per la sanita', la scuola e lo sport si e' conquistata una vasta popolarita' correndo in tuta da ginnastica intorno allo Stadio Nazionale di Pechino, il Nido d' uccello, dichiarando poi che ''un' ora di esercizio al giorno e' garanzia di una buona salute''. E' tra i pochi dirigenti ad avere buone relazioni con le due principali fazioni del partito, ed e' ritenuta vicina al presidente Hu Jintao.
In poche parole avrebbe le carte in regola per essere promossa ai massimi livelli. ''Putroppo - ha dichiarato recentemente al Guardian Russel Leigh Moses, presidente del Beijing Centre for Chinese studies - alla fine non si decidera' solo sulla base dei meriti''. ''La politica cinese e' dominata dagli uomini - ha affermato la scrittrice Zhang Lijia in un' intervista all' ANSA - e dato che le carriere si fanno per cooptazione, di solito preferiscono scegliere altri uomini''. ''Un forte peso - prosegue Zhang, autrice tra l' altro del romanzo di successo "Il socialismo e' grande!'' - lo ha tradizione, che in Cina e' ancora una tradizione rurale. In generale si pensa che le donne siano interessate piu' alla famiglia e che tutte le attivita' che portano lontano dalla famiglia siano adatte solo agli uomini''.
Yang Xiaona, 25 anni, vicina a concludere i suoi due anni di master all' Universita' di Medicina di Pechino, iscritta al Partito Comunista, conferma: ''ho sempre voluto essere una studentessa modello - ha dichiarato - e so che solo gli studenti brillanti vengono accettati nel partito…inoltre essere in politica apre molte strade, permette di conoscere un gran numero di persone…ora ho capito che non e' esattamente cosi', penso che per me sia meglio puntare su una carriera professionale, magari andando a lavorare nel ministero della sanita'…del resto, e' una cosa che mi piacerebbe molto''.
Il ''pregiudizio negativo'' che ancora esiste in Cina verso le donne in politica si riflette, per esempio, nella vicenda di Bo Xilai, l' ambizioso leader caduto in disgrazia all' inizio dell' anno e che ora rischia la pena capitale per aver cercato di coprire le maleffare della moglie Gu Kailai, che e' stata riconsciuta colpevole di omicidio. Per quanto riguarda il passato si puo' pensare alla moglie del presidente Mao Zedong, Jiang Qing, condannata come leader del gruppo estremista responsabile dei disastri della Rivoluzione Culturale che invece, secondo il prevalente giudizio degli storici, fu voluta proprio da Mao.
''Si - conferma Zhang , la scrittrice - in questo possiamo dire che la Cina e' ancora molto arretrata. In altri campi, per esempio l' industria, molte donne sono in posizione di responsabilita'. In politica ce ne sono molte a livello medio ma quelle che si trovano ai vertici, anche nelle province, anche nei villaggi, sono una rarita'''.(ANSA).
L' ECONOMISTA CONTRO IL CULTO DI MAO ZEDONG
(pubblicato dall' ANSA il 2.11.2012)
Mao Yushi, 83 anni, uno degli economisti cinesi piu' noti nel mondo accademico internazionale e in passato insegnante ad Harvard, approfitta del ''grande 18esimo", il congresso del Partito Comunista Cinese che si aprira' giovedi' prossimo a Pechino, per rilanciare le sue tesi critiche verso Mao Zedong, il fondatore della Repubblica Popolare che e' ancora idolatrato dalla propaganda ufficiale.
''Quello del giudizio su Mao Zedong e' il problema irrisolto nella vita politica cinese'', ha detto Yushi in un' intervista telefonica all' ANSA. ''Mao Zedong e' stato importante per la liberazione (dall' occupazione giapponese, ndr) ma quando e' stato al potere ha commesso errori gravissimi'', ha proseguto l' economista, che in passato e' stato perseguitato per le sue critiche al fondatore della Repubblica Popolare. Secondo Mao Yushi, non si tratta solo di un problema di valutazione storica. Al contrario, la valutazione sull' operato di Mao Zedong ha un' influenza diretta sulla politica cinese ''Nell' attuale sistema di potere - ha proseguito Mao Yushi - una fazione paralizza l' altra e un importante punto di stallo e' il giudizio su Mao Zedong. Si dice che (il presidente uscente) Hu Jintao non ha fatto grandi riforme, ma come si puo' fare qualcosa quando bisogna mettere insieme opinioni profondamente diverse come quelle di Wen Jiabao (il ''modernista'' premier uscente) e Wu Bangguo (il conservatore presidente dell' Assemblea nazionale del popolo)?''. L' economista ritiene che il nuovo gruppo dirigente guidato dall' attuale vicepresidente Xi Jinping, il successore designato di Hu Jintao, avra' lo stesso problema. ''Non c' e' piu' un leader onnipotente, come sono stati Mao Zedong e Deng Xiaoping.
La nuova dirigenza sara' immobilista come quella precedente e c' e' il pericolo che le divisioni all' interno del partito vengano riprodotte nella societa'''. In altre parole, le principali fazioni che si combattono nel partito potrebbero cercare apertamente appoggi tra la popolazione.
Il giudizio ufficiale su Mao Zedong, espresso oltre 30 anni fa dal suo successore Deng Xiaoping, e' che il suo operato e' stato positivo per il 70% e negativo per il 30%. Negli anni seguenti il partito ha di fatto sostenuto il culto di Mao Zedong: il suo ritratto ancora campeggia all' ingresso della Citta' Proibita su piazza Tiananmen, il suo mausoleo e' visitato ogni giorno da migliaia di persone che vedono in lui l' alfiere dell' orgoglio nazionale e il leader di un periodo nel quale tutti erano piu' poveri ma la societa' non era ferocemente competitiva come oggi. In settembre, gli ultranazionalisti che hanno organizzato le manifestazioni contro il Giappone agitavano ritratti del Grande Timoniere.
Secondo alcuni osservatori, Mao Zedong e' gia' stato usato dalla fazione conservatrice contro quella riformista in occasione delle manifestazioni anti-giapponesi di settembre, nelle quali i manifestanti hanno agitato i ritratti del Grande Timoniere criticando indirettamente i ''moderati'' Hu Jintao e Wen Jiabao. Se i loro successori vogliono portare avanti delle riforme profonde, ''dovranno cominciare col rimettere in discussione il giudizio su Mao Zedong'', ha concluso il professore.(ANSA).
XI JINPING E IL RIFORMISTA HU DEPING
(pubblicato dall' ANSA il 7.9.2012)
Il successore designato del presidente cinese Hu Jintao, Xi Jinping, ha indicato che una volta al potere si muovera' sul terreno delle riforme con piu' decisione del suo predecessore. Secondo tre diverse fonti citate dall' agenzia Reuters, Xi Jinping si e' espresso a favore di caute e graduali riforme in un incontro con Hu Deping, un alto funzionario figlio del segretario riformista del Partito Comunista Cinese (Pcc) Hu Yaobang. Deping, 69 anni, e' considerato uno dei piu' accessi promotori delle riforme, inclusa la cosidetta ''riforma politica'' che significa una maggiore tolleranza verso il dissenso e una graduale rinuncia del Partito al monopolio sulla vita politica del paese.
Nella stessa direzione vanno le indicazioni fornite dal giornale Ming Pao di Hong Kong, solitamente ben informato sulle vicende interne al Partito, che recentemente ha pubblicato un discorso attribuito allo stesso Xi Jinping. Nel discorso Xi afferma di ritenere che i suoi compiti prioritari siano quello di ''mantenere la purezza' 'del Partito eliminando la corruzione, quello instaurare una vera giustizia sociale e quello ridurre le crescenti differenze di reddito tra diversi settori della popolazione.
Un articolo insolitamente esplicito, nel quale Hu Jintao e il suo numero due, il premier Wen Jiabao, vengono criticati per il loro immobilismo, e' stato recentemente scritto dal direttore di una rivista della Scuola Centrale del Pcc, il cui direttore e' lo stesso Xi Jinping. L' articolo e' stato pubblicato sul sito web della rivista Caijing. In seguito e' stato censurato ma ha avuto una larga circolazione su Internet. Nell' articolo il giornalista, Deng Yuwen, sostiene che ''in generale, in questi dieci anni, la Cina ha ottenuto grandi successi. Ma dietro ai successi ci sono dei problemi''. ''Se parliamo con sincerita', in questo decennio sono stati creati dei grossi problemi, che sono ancora piu' numerosi dei risultati raggiunti'', aggiunge Deng. In altri termini nei dieci anni di initerrotta crescita economica che ha portato l' economia cinese ad essere la seconda del mondo, Hu e Wen si sarebbero adagiati sugli allori, trascurando i problemi che la crescita portava con se, come l 'endemica corruzione e la crescita delle differenze sociali. Il gruppo dirigente uscente sarebbe stato troppo timido anche nel promuovere una graduale democratizzazione della vita politica, perseguitando i dissidenti come il premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, condannato ad undici anni di prigione per aver promosso il multipartitismo. Secondo una delle fonti della Reuters Xi Jinping avrebbe sostenuto tra l' altro che ''…dobbiamo tenere alta la bandiera delle riforme, compresa la riforma del sistema politico''.
Secondo le previsioni, Xi Jinping succedera' a Hu Jintato nella carica di segretario del Pcc nel prossimo congresso del Partito, il 18esimo, che si dovrebbe tenere in ottobre. Nella primavera dell' anno prossimo dovrebbe poi venire eletto alla presidenza della Repubblica Popolare, sempre al posto di Hu Jintao.(ANSA).
domenica 11 novembre 2012
L' oppio dei giornali e i misteri cinesi
Dal Wall Street Journal del primo novembre:
"Opium cultivation in Southeast Asia's main poppy growing countries has more than doubled over the past six years dirven largely by rising heroin demand in China and despite recent efforts by regionale governmentes to eradicate the crop, the United Nations' narcotic office said in a report released Wednsday…". Eccetera, eccetera…
Forse l' oppio viene dato per qualche via misteriosa anche a coloro che seguono la Cina e a coloro che scelgono gli argomenti per gli articoli sui giornali. Forse andrebbe fatto un piccolo sforzo in piu' per capire cosa succede nel Paese che ha la seconda economia del mondo e probabilmente e' il piu potente - quindi importante - del mondo dopo gli Stati Uniti (dai quali, invece, tutti ci informano sui dettagli dell' affaire extra-coniugale di David Petraeus, dedicandogli pagine e pagine come se dovesse veramente importarcene qualcosa…).
Tutti (o quasi) si sono accorti che la Cina e' ancora governata dagli "elders", i vecchi, vecchissimi dirigenti, che oggi sono persone piuttosto grige (in senso politico e intellettuale, perche' i capelli se li tingono tutti, con la lodevole eccezione di Zhu Rongji) e questo e' gia' qualcosa.
Ma ci sono almeno due cose importanti che sono sparite o quasi dalle pagine dei giornali (in particolare italiani, che quando si tratta di provincialismo e superficialita' non sono secondi a nessuno):
1. I 70 tibetani che si sono dati fuoco per protesta. Scusate se insisto. Direte, come mi ha detto una volta un funzonario cinese, che sono un ''amico del Dalai Lama" (che ho visto una volta in vita mia, per un' intervista) ma provate a pensare se 70 persone si fossero date fuoco in Sicilia, per protestare contro la politica di Monti…
2. La sparizione dell' erede al trono Xi Jinping, che per due settimane in settembre non si e' visto ne' sentito, poi e' riapparso come se niente fosse. Pensate se a sparire fosse stato Bersani…
detto questo, mi sembra di un certo interesse l' intervista che ho fatto ieri per l' ANSA ad un intellettuale "vicino" allo stesso Xi Jinping:
ANSA-INTERVISTA/ CINA: RIFORMISTA DENG, BASTA IMMOBILISMO
PARLA COLLABORATORE XI, PIU' DEMOCRAZIA ANCHE CON PARTITO UNICO
(di Beniamino Natale)
(ANSA) - PECHINO, 10 NOV - E' arrivato il momento di uscire dall'immobilismo politico e mettere mano alle riforme, ma senza "copiare la democrazia occidentale: ci può essere più libertà per i cittadini anche in un sistema a partito unico". Così interpreta il momento di svolta a Pechino Deng Yuwen, 44 anni, vicedirettore della rivista della Scuola del comitatcentrale del Partito comunista cinese, l' "università" nellaquale si formano i dirigenti e di cui è presidente Xi Jinping, grande protagonista del 18.o congresso del Pcc.
In un'intervista all'Ansa Deng precisa di non essere un portavoce di Xi, che la settimana prossima verrà eletto segretario del Pcc e in primavera presidente della Repubblica Popolare "Non posso dire di essere un suo portavoce, esprimo idee mie che solo in parte riflettono il pensiero della nuova generazione di dirigenti". Ma è lecito pensare che il leader emergente, in quanto suo superiore, non consideri assurde le suei dee.
Deng, piccolo, vestito modestamente, ma brillante e precisoquando espone le sue tesi, pensa che il "nuovo imperatore" Xi Jinping, avrà bisogno di un paio di anni di tempo per dimostrare il suo volto riformista. E dovrà agire ampliando la democrazia all' interno del Partito, prendendo misure concreto contro la corruzione, oltre a rafforzare il ruolo dell' Assemblea nazionale del popolo (la versione cinese di un Parlamento) e a"migliorare l' applicazione" dell' unica forma di democrazia attualmente esistente in Cina, l' elezione dei comitati di villaggio.
"Non bisogna aspettarsi molto sul terreno della privatizzazione delle imprese le Soe (le imprese statali), sono la base economica del Partito Comunista" , ammonisce Dengsalito nelle scorse settimane alla ribalta per aver scritto su Study Times un articolo estremamente critico verso i dirigenti uscenti, il presidente Hu Jintao e il premier Wen Jiabao. "I loro errori principali - ha spiegato - sono quelli di aver permesso l' enorme crescita delle differenze sociali, cosa che ha portato ad una vera e propria crisi di legittimazione del Partito, che ora deve recuperare".
Deng però riconosce anche i meriti della dirigenza uscente che, come lo stesso Hu Jintao ha ricordato nella sua relazione al Congresso giovedì scorso, ha presieduto ad un "decennio d' oro" per la crescita dell' economia e la modernizzazione della società della Cina. "Il Paese esce da questo decennio più forte, inoltre hanno messo l' accento sulle condizioni di vita dei settori più poveri della popolazione…e l' abolizione delle imposte sull' agricoltura è stata estremamente importante". Ora c'é spazio per le riforme politiche, pur senza uscire dal solco del partito unico. "Per esempio, la Costituzione garantisce diritti che in realtà non vengono rispettati, come quello di parola e quello di riunione", afferma. Però precisa di non ritenere che il caso di Liu Xiaobo, l' intellettuale e premio Nobel per la pace condannato a 11 anni di prigione peraver scritto e promosso il documento anti-partito unico Charta 08, rientri in questa problematica: "Liu non si è limitato a parlare ma ha agito, ha convinto tante persone a firmare, e ha preso l' iniziativa di scrivere il documento", sostiene, e ricorda che altri firmatari di Charta 08 non hanno avuto problemi con la giustizia.(ANSA).
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