Il blog di Beniamino Natale/ Storie sull' Asia, il giornalismo e (forse) altro...
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venerdì 9 novembre 2012
Jiang Zemin biondo e altre novita'
Dopo mesi di cappa e spada - assassini di uomini d' affari (o spie?) britanniche, incidenti con Ferrari nere nelle notti brave dei giovani pechinesi, sparizioni inspiegabili dei massimi dirigenti - e mentre l' economia internazionale, e quindi anche quella cinese, continuano ad andare maluccio, e' cominciato il 18esimo Congresso del Paritito Comunista Cinese.
Nell' indifferenza generale, in questo periodo, 56 tibetani hanno tentato di uccidersi dandosi fuoco per protesta contro la politica della Cina nel territorio. Nel giorno dell' apertura del 18esimo, ci sono stati cinque o sei tentativi, in diverse zone a popolazione tibetana. Se si aggiungono a quelli che hanno compiuto il loro drammartico gesto nei mesi precedenti - a partire dalla primavera del 2009 - gli "autoimmolati" hanno raggiunto la cifra di 69. Il governo degli Stati Uniti ha menzionato il fatto con la Cina, come la responsabile per i diritti umani dell' Onu, Navi Pillay. I principini fanno finta di niente, in pubblico, ma sotto sotto - almeno secondo fonti tibetane - hanno mandato messaggi a Dharamsala su una possibile ripresa del dialogo, naturalmente dopo che il 18esimo sara' finito e il nuovo line-up del Partito rivelato.
A proposito del quale siamo ancora in alto mare. Rivelazioni, indiscrezioni e ipotesi si succedono freneticamente - ma sono tutti sentiti dire di terza e quarta mano. Anche in questo caso, non ci resta che aspettare il giorno della Rivelazione, cioe' la prima mattina dopo la conclusione del 18esimo, quella del 15 novembre (se faranno come le altre volte, cosa probabile ma non certa).
Questo e' il bello coi principini: regole non ci sono, fanno come meglio gli aggrada…sempre che riescano a mettersi d' accordo!
Ecco il pezzo che ho scritto ieri per l' ANSA, al quale aggiungo un paio di cose:
uno dei destinati al Paradiso, il Comitato Permanente dell' Ufficio Politico, l' esperto economista laureato all' Universita' Kim Il-Sung di Pyongyang (nientepopodimeno!) Zhang Dejiang ha risposto a un paio di domande - dopo che decine di giornalisti cinesi e stranieri erano stati due ore in piedi ad ascoltare una pallosissima riunione della delegazione di Chongqing. Zhang 66, anni, fedelissimo dell' ex-presidente e attuale Grande Vecchio del Partito Jiang Zemin (che nel frattempo, a 86 anni, e' diventato biondo - lo giuro! Lo hanno visto tutti nella Sala dell' Assemblea del Popolo, dove i lampadari sono grandi come il mio appartamento di Roma!), e' stato inviato a Chongqing in sostituzione del cattivo Bo Xilai, marito della cattivissima Gu Kailai.
Ha detto: 1. che non e' mai esistito un "modello Chongqing"; 2. Di non aver visto prove che Neil Heywood - il cittadino britannico per il cui assassinio Gu Kailai e' stata condannata - fosse una spia dell' M16. Ma questa penso che sia l' ennesima bufala del sempre piu' bufaloso Wall Street Journal.
ANSA/ CINA: HU APRE CONGRESSO E LANCIA ALLARME CORRUZIONE
MA TACE SU RIFORME POLITICHE. 'ORA DIVENTARE POTENZA MARITTIMA'
(di Beniamino Natale)
(ANSA) - PECHINO, 8 NOV - Il presidente uscente Hu Jintao ha aperto oggi a Pechino il congresso del Partito Comunista Cinese con un discorso agli oltre 2000 delegati nel quale ha lanciato l'allarme corruzione che potrebbe portare anche a un "crollo" della Repubblica popolare.
Parlando nella Sala dell'Assemblea del Popolo su piazza
Tiananmen, addobbata con bandiere rosse e un'enorme falce e martello, Hu ha però accennato in modo solo generico alle attese "riforme politiche", vale a dire a misure di democratizzazione della vita politica della seconda potenza economica mondiale, molto attese fuori e dentro la Cina.
"Se non affrontiamo il problema della corruzione, essa
potrebbe provocare una crisi del Partito e anche un crollo dello Stato", ha sottolineato. "La riforma della struttura politica é una parte importante delle riforme generali e dobbiamo prendere iniziative positive e prudenti in questa direzione", ma "la Cina non copierà mai un sistema politico occidentale", ha aggiunto Hu, deludendo le attese di chi si aspettava annunci di radicali innovazioni nell'organizzazione interna del Partito.
Nel congresso, che si concluderà giovedì prossimo, Hu
Jintao (70 anni) lascerà il posto di segretario del Partito al
suo successore designato Xi Jinping (59), che in marzo assumerà anche la carica di presidente della Repubblica popolare.
Lanciando nel suo discorso l'obiettivo di raddoppiare il
Prodotto nazionale interno (Pil) e il reddito medio della
popolazione entro il 2020, Hu ha implicitamente rivendicato i
"dieci anni d'oro" della sua gestione, durante i quali il Pil
della Cina è cresciuto fino a diventare il secondo del mondo,
inferiore solo a quello degli Stati Uniti, e la modernizzazione
del Paese ha subito una decisa accelerazione.
Hu arriva a questo momento, delicato per il Paese e per lui
personalmente, indebolito sia dal rallentamento dell'economia che dalle critiche che gli sono state rivolte anche all'interno del Partito, per il suo immobilismo politico. A testimoniare i problemi sociali irrisolti è la notizia che nelle ultime ore ben sei tibetani hanno tentato di uccidersi col fuoco per protesta contro la politica nel territorio, portando il totale delle autoimmolazioni a 69 da due anni e a 56 nel solo 2012.
Il processo di successione che prende il via al congresso e
che vedrà salire al potere una nuova generazione di dirigenti
politici cinesi è stato lungo e difficile. Nei mesi scorsi il
Partito è stato scosso dallo scandalo di Bo Xilai, l'ambizioso
leader della metropoli di Chongqing che verrà processato per corruzione e abuso di potere, e dalla misteriosa "scomparsa" del leader in pectore Xi Jinping, che per due settimane in settembre non è stato visto in pubblico. La sparizione non è stata spiegata e l'ipotesi che riscuote più credito è che abbia minacciato le dimissioni se non fosse stato trovato un accordo sulla successione tra le principali fazioni, quella che fa capo a Hu Jintao (i cosiddetti 'tuanpai', cioé gli ex dirigenti dell'ala giovanile del Pcc) e quella guidata dall'ex-presidente Jiang Zemin, composta in larga parte da figli e nipoti dei "grandi rivoluzionari", che vengono chiamati i "principini" dai cinesi.
Si ritiene che Jiang (86 anni) abbia imposto la promozione
nel Comitato Permanente dell'Ufficio Politico (Cpup), il vero
cuore del potere cinese, di molti dei suoi alleati. Il nuovo
Cpup verrà presentato al pubblico tra una settimana, a
conclusione del congresso.
Le tensioni nel Partito, secondo gli osservatori, non sono
estranee all'aggressività mostrata recentemente da Pechino nel Mar della Cina, dove rivendica la sovranità sulle isole
Senkaku/Diaoyu, controllate dal Giappone, e su altri piccoli
arcipelaghi sui quali hanno mire anche Vietnam, Malaysia,
Brunei, Filippine e Taiwan. Hu Jintao - che ha ottimi rapporti
con l'Esercito di Liberazione Popolare - nel suo discorso di
oggi ha parlato della necessità di "rafforzare la posizione
militare" della Cina e di farne "una potenza marittima".
Parole destinate ad essere accolte con preoccupazione nella regione e a Washington, dove proprio oggi un gruppo di esperti ha affermato, in un rapporto richiesto dal Congresso, che Pechino sarà in grado di mettere in mare sottomarini con testate nucleari entro i prossimi due anni.(ANSA).
giovedì 1 novembre 2012
L' oro di nonno Wen
Ci sono due aspetti distinti nella vicenda delle rivelazioni di David Barboza del New York Times sulla ricchezza accumulata negli ultimi anni dai parenti del primo ministro cinese Wen Jiabao. Il primo riguarda la leadership cinese, i suoi equilibri interni, il suo modo di agire, il suo futuro. L' altro il giornalismo, il modo nel quale si fanno le inchieste, come si selezionano le fonti e come si verificano le notizie che forniscono. Nel mio pezzo per l' ANSA, che pubblico qui sotto, li tratto sinteticamente entrambi.
Un terzo aspetto, che non affronto nel pezzo ma che qui mi fa piacere sottolineare riguarda i numerosi italiani, politici, industriali e intellettuali, entusiasti della Cina e in particolare del "riformista" - a questo punto le virgolette sono d' obbligo - Wen Jiabao. Non e' forse il caso di dare un colpetto di freno e di smettere di ubbidire a tutti gli ordini dei principini (uno su tutti: quello di non ricevere quel santo vecchio del Dalai Lama) e di mendicare da loro (peraltro invano) l' acquisto di una manciata di Buoni del Tesoro? Non vi preoccupa, almeno un pochino, il giiudizio che di questa dirigenza cinese dara' la storia? Io ci penserei su…
Ecco il pezzo, al quale faccio seguire qualche riflessione e un paio di link a interessanti storie dela stampa anglosassone:
ANSA/ 'CINA NEL CAOS', SCOOP RICCHEZZA WEN COMPLICA CONGRESSO
SECONDO OSSERVATORI E'LOTTA TRA FAZIONI A POCHI GIORNI DA ASSISE
(di Beniamino Natale)
(ANSA) - PECHINO, 30 OTT - Le rivelazioni sulla ricchezza accumulata dalla famiglia del premier cinese Wen Jiabao - 2,7 miliardi di dollari, secondo la recente inchiesta-scoop del New York Times - hanno creato ulteriori difficoltà al già delicato processo di successione ai vertici in corso in Cina.
Mancano pochi giorni all'inizio del 18esimo Congresso del Partito (che si aprirà l' 8 novembre) e, secondo Li Weidong, ex-direttore di una importante rivista e conoscitore della
politica cinese, la dirigenza si trova "in uno stato di caos". Secondo Li, "non c'é un'autorità assoluta" e le due principali fazioni del partito - quella legata al presidente in carica Hu Jintao e quella che fa riferimento al suo predecessore Jiang Zemin - sono impegnate in una lotta senza quartiere, il cui esito è ancora incerto.
Secondo le ultime previsioni, il nuovo Comitato Permanente dell'Ufficio Politico (Cpup, il vero centro del potere cinese) sarà composto da sette persone, invece delle nove attuali: il prossimo 'numero uno' Xi Jinping, il candidato alla poltrona di premier Li Keqiang, il vicepremier ed esperto economista Wang Qinshan, il segretario del partito di Chongqing Zhang Dejiang (un veterocomunista che ha studiato in Corea del Nord), quello della metropoli emergente di Tianjin, Zhao Gaoli, l'attuale responsabile della propaganda Liu Yunshan, e quello dell'organizzazione interna del partito Li Yuanchao.
Su quest'ultimo, secondo alcuni, pesa il veto di Li Peng, capo del governo ai tempi del massacro di piazza Tiananmen, del quale è ritenuto uno degli ispiratori, e che oggi fa parte del gruppo dei "grandi vecchi" che hanno una forte influenza sul partito. Il riformista Wang Yang, capo del partito nella regione industriale del Guangodong e Liu Yandong, l'unica donna tra i "papabili", sostenuta dal presidente Hu Jintao, sembrano tagliati fuori dai giochi che comunque - avvertono osservatori e "insider" sui blog sino-americani e dalle colonne dei giornali di Hong Kong - sono tutt'altro che fatti.
La fazione di Jiang avrebbe segnato dei punti all'interno del partito ma Hu avrebbe risposto rafforzando la sua posizione nell'esercito, con la recente nomina a capo dello General Staff Department, considerato grosso modo equivalente a quello di capo dell'esercito, del suo fedele collaboratore Fang Fenghui.
Le rivelazioni del New York Times vengono a qualche mese di distanza da quelle dell'agenzia Bloomberg, che in luglio ha pubblicato un'inchiesta dalla quale risultava che la famiglia del presidente "in pectore" Xi Jinping ha accumulato una ricchezza di 1,73 miliardi di dollari. Sia nel caso di Wen che di quello di Xi non è risultato dalle inchieste che i due dirigenti abbiano commesso qualche reato o che abbiano agito in favore dei loro parenti, che sono gli intestatari di quelle ricchezze. La sorella, il cognato e la nipote nel caso di Xi Jinping; i figli, il fratello e la vecchia madre in quello di Wen Jiabao. Le accuse sono comunque state sufficienti a far infuriare la dirigenza, che ha ordinato la chiusura dei siti web dei media responsabili e una nuova stretta su internet, il cui accesso è negli ultimi giorni di una lentezza esasperante.
David Barboza, il capo dell'ufficio del New York Times di Shanghai e autore dello scoop su Wen Jiabao, ha respinto le illazioni di chi ha sostenuto che abbia avuto le informazioni da rivali politici del premier. Si tratta, ha scritto, di affermazioni "ridicole" e lo scoop è frutto di un paziente lavoro di ricerca durato anni. Quale che sia l'origine dello scoop, alcuni sostengono che nuovi "dossier" potrebbero apparire nei prossimi giorni e nei prossimi mesi.
Altri importanti dirigenti sono stati sfiorati in passato dal sospetto di aver accumulato enormi ricchezze sfruttando le loro posizioni. Inoltre, rimane in sospeso la sorte di Bo Xilai: l'ambizioso leader caduto in disgrazia dovrebbe essere processato per gravi episodi di corruzione, abuso di potere e per aver cercato di coprire la moglie, condannata in agosto all'ergastolo per l'omicidio di un faccendiere britannico. I suoi fedeli potrebbero essere tra quelli tentati di scatenare una guerra dei dossier dai risultati imprevedibili.(ANSA).
Primo punto. Le rivelazioni su Wen Jiabao (http://www.nytimes.com/2012/10/26/business/global/family-of-wen-jiabao-holds-a-hidden-fortune-in-china.html?pagewanted=all&_r=0) e Xi Jinping (http://www.bloomberg.com/news/2012-06-29/xi-jinping-millionaire-relations-reveal-fortunes-of-elite.html) indicano che quella di accumulare ricchezze in modo peraltro non illegale - anche se ci potrebbero essere dei casi di insider trading, come sottolinea questo articolo di Peter Lee su AsiaTimes Online (http://www.atimes.com/atimes/China/NJ31Ad02.html) - e' una pratica comune per principini e principoni cinesi.
In Cina ne parlano tutti, tutti lo danno per scontato. Di piu', tutti ritengono che sia nornale, e tra i "tutti" ci sono anche gli operatori di mercato e i loro supposti controllori statali. Spesso usano parenti o altri prestanome (il caso della signora Duan Weihong con la famiglia di Wen Jiabao) e qualche pezzo della storia emerge in circostanze particolari: per esempio il fatto che due cugini del presidente Hu Jintao hanno ruoli dirigenti nella Kai Yuan Holdings di Hong Kong, che ha grossi investimenti in Cina, fatto rivelato dallo stesso Peter Lee - che ho citato nella serie Come fu temprato l' acciaio, pubblicata su questo blog il 6,7 e 8 ottobre.
Il pericolo che si scateni nei prossimi mesi una guerra a base di rivelazioni e controrivelazioni che potrebbe essere distruttiva per gli attuali assetti di potere e' forte.
Sintetizzando quello che vari studiosi stranieri, ma sempre piu' anche cinesi - ex-dirigenti di partito, ex-giornalisti - vanno dicendo da qualche tempo la situazione a una settimana dal Congresso e' la seguente: non c' e' un accordo pieno e la lotta tra la fazione guidata dal presidente Hu Jintao (i cosidetti tuanpai) e quella capeggiata dal suo predecessore Jiang Zemin e' feroce. Bo Xilai, l' ambizioso leader emergente incastrato con una storia shakeasperiana di omicidi, sesso e denaro in parte vera in parte inventata, ha ancora dei sostenitori.
Quanto al prossimo numero uno, Xi Jinping, confesso che comincio a guardarlo con una certa simpatia. Ricordate la sua sparizione all' inizio di ottobre, durata due settimane? Una delle interpretazioni emerse, che mi sembra quella piu' credibile, e' che abbia minacciato di dimettersi se non si fosse rapidamente stabilita nella guerra tra fazioni una tregua che permettesse di annunciare sia la data del congresso che l' incriminazione di Bo Xilai. Se e' cosi' se l' e' cavata alla grande, ma rimane in una posizione molto precaria.
Ecco quello che ha detto di lui in un' intervista al South China Morning Post l' autorevole studioso Roderick MacFarquhar: "…Mao (Zedong) e Deng (Xiaoping) scelsero i loro successori, ma Xi , che non ha la benedizione di un predecessore, avra' davanti a se un compito terribilmente duro nel gestire la miriade di problemi del paese evitando misure che potrebbero provocare la perdita del potere del partito…io tremo per Xi Jinping, non vedo come possa trovare la strada".
(http://www.scmp.com/news/china/article/1073510/reform-unlikely-says-china-expert-roderick-macfarquhar).
Il secondo aspetto, e' forse meno importante ma sicuramente altrettanto complicato. Non sorprende che molti abbiano sollevato il sospetto che "qualcuno" abbia imbeccato il New York Times per togliersi dalle scatole nonno Wen. Come tutti i leader in pensione anche il buon nonnino - che agita nell' aria il ditino minaccioso solo quando parla dei tibetani - sta cercando di piazzare amici e parenti in posizioni che gli garantiscano di essere consultato e rispettato come "vecchio" (cavolo, come si dice, "ha mantenuto un' influenza" anche un mediocre burocratello come Li Peng, perche' non lui?), oltre a un buon grado di protezione per gli investimenti della famiglia.
Chiaro che un concorrente in meno e' un vantaggio per tutti. Inoltre, Wen e' l' unico che pubblicamente si e' esposto criticando Bo Xilai e i suoi alleati ultrasinistri. Pero' tutti sanno che dietro le quinte anche tuttti gli altri - prima di tutto, nell' ordine, Hu Jintao, Jiang Zemin e Xi Jinping erano d' accordo a fare secco l' ultrasinistro con la giacca di Armani.
I cinesi, che amano alla follia le teorie del complotto, sono tutti convinti che l' imbeccata ci sia stata. Al contrario, io tendo a credere a David Barboza.
L' autore dello scoop ha scritto: "…so che ci sono state voci secondo le quali sono stato aiutato da qualcuno che mi ha mandato i documenti, o da fonti che volevano attaccare il primo ministro. Posso dire con chiarezza che e' ridicolo, e nessuno potra' mai dimostrare che e' vero…non ho mani incontrato nessuno che volesse dirmi delle cose su Wen Jiabao. E non ci sono stati nemici con i quali ho preso contatto nell' anno passato. E ho detto a poche, pochissime persone quello che stavo facendo, per ragioni di sicurezza". Barboza aggiunge di aver lavorato per tre anni al pezzo e di aver usato solo fonti pubbliche - anche se difficili, faticose e in alcuni casi costose da raggiungere. Gli credo perche' la mia limitata esperienza di giornalista italiano all' estero - che non ha l' accesso e la credibilita' dei giornalisti che scrivono in inglese su organi di stampa che tutti in Asia leggono, al contrario dei nostri - mi ha insegnato che i veri scoop si fanno cosi', col lavoro duro e con i contatti faticosamente costruiti, con la costanza nel seguire una traccia che a tratti sembra non portarti da nessuna parte. Quelli fatti di dossier, di rivelazioni di inconfessabili segreti sono di solito bufale alla Murdoch, come i Diari di Hitler (vedi il mio post Gli Infortuni dello squalo Rupert, del 3 ottobre) o, peggio, come quello di Tony-primo-della-classe-Blair e del suo orribile addetto stampa Allistair Campbell sulla bomba atomica africana di Saddam Hussein, che non esisteva ma che e' servita a giustificare la guerra in Iraq.
Perche' ora? Semplice, perche' un' inchiesta si pubblica quando e' completa. Un anno fa avrebbe danneggiato Wen Jiabao altrettanto, e forse piu' di adesso. Lo stesso se fosse stata pubblicata dopo il congresso.
Perche' Wen? E perche' no? E' stato per dieci anni il secondo uomo piu' potente della Cina, e non si indaga su di lui, su chi si indaga? Si dice che e' "impossibile" che gli occhiuti servizi segreti cinesi non abbiano saputo dell' indagine. Io non ci credo. Ci sono molti giornalisti, in Cina, che riescono a fare delle cose tenendole nascoste per qualche tempo ai servizi cinesi che sono bravi spioni ma non sono onnipotenti.
Infine, come lo stesso Barboza e tanti altri hanno detto, erano anni che si parlava dei gioielli della moglie di Wen e degli investimenti di suo figlio…In conclusione credo assolutamente possibile che Barboza e il NYT siano riusciti a tenere nascosta l' inchiesta fino alla pubblicazione. Per me, e' una storia da scuola di giornalismo, non da teoria dei complotti.
Ecco il testo dell' "autodifesa" di David Barboza:
"I know there has been speculation that I was aided by someone who sent me documents, or some sources who were keen to attack the prime minister. I can say clearly that this is ridiculous, and no one will ever provide any evidence of it being true. I began working on this story more than a year ago, as part of a series on State Capitalism. I began to gather evidence on this more than three years ago. But the outlines of the story became more clear to me in November 2011, when I already had enough documents to show that the Wen family had access to billions of dollars worth of Ping An shares. I wrote a draft of the top of the story that month, with the advice of one of my colleagues. I hoped to finish the story as part of my series on State Capitalism, in December 2011. But that proved impossible -- thank goodness!
As I continued to research, I came upon more and more companies and got addicted to requesting corporate documents. And then there were more questions about not just what these companies were doing and how they fit together, but who many of the people were. I couldn't quite figure out how the family was doing it because the identities of so many of their partners were obscured.
Only in July, for instance, did I find out the name of Winston Wen's wife.
Only in August did I realize that two major shareholders were the parents of Winston Wen's wife. Understanding dozens of investment vehicles and searching regulatory records of stock exchanges and visiting the sites of companies, etc., has taken much of the past year.
As far as the family's corporate holdings, I never received a single document from a source. I never met anyone who wanted to give me things about Wen Jiabao. There were no enemies I came into contact with over the past year. And I told very, very few people what I was doing -- for safety reasons.
I know the timing of my piece appears odd, but that has more to do with my inability to finish the project and understand all the connections. We hired an auditor. I constantly talked to lawyers and
accountants about what the documents meant while keeping from them whom I was investigating.
My colleagues at The Times can verify my accounts, because many of them know I've been doing this, on and off, for a year -- sometimes just sitting and waiting for corporate documents. Occasionally I was pulled away to do other stories so that I did not entirely abandon my post as Shanghai business correspondent. I hope that answers some of the questions and speculation. The story I wrote was entirely based on documents. A handful of sources in the late stages of the story began confirming aspects of it. But none of hem gave me documents".
As I continued to research, I came upon more and more companies and got addicted to requesting corporate documents. And then there were more questions about not just what these companies were doing and how they fit together, but who many of the people were. I couldn't quite figure out how the family was doing it because the identities of so many of their partners were obscured.
Only in July, for instance, did I find out the name of Winston Wen's wife.
Only in August did I realize that two major shareholders were the parents of Winston Wen's wife. Understanding dozens of investment vehicles and searching regulatory records of stock exchanges and visiting the sites of companies, etc., has taken much of the past year.
As far as the family's corporate holdings, I never received a single document from a source. I never met anyone who wanted to give me things about Wen Jiabao. There were no enemies I came into contact with over the past year. And I told very, very few people what I was doing -- for safety reasons.
I know the timing of my piece appears odd, but that has more to do with my inability to finish the project and understand all the connections. We hired an auditor. I constantly talked to lawyers and
accountants about what the documents meant while keeping from them whom I was investigating.
My colleagues at The Times can verify my accounts, because many of them know I've been doing this, on and off, for a year -- sometimes just sitting and waiting for corporate documents. Occasionally I was pulled away to do other stories so that I did not entirely abandon my post as Shanghai business correspondent. I hope that answers some of the questions and speculation. The story I wrote was entirely based on documents. A handful of sources in the late stages of the story began confirming aspects of it. But none of hem gave me documents".
lunedì 8 ottobre 2012
Come fu temprato l' acciaio 3
concludo il racconto delle vicissitudini della Rio Tinto e del mercato dell' acciaio. Di passaggio, ricordo che la lotta tra la fazione di Jiang Zemin e quella di Hu Jintao sta giocando un ruolo centrale nella faticosa preparazione del 18esimo Congresso, quello nel quale verra' dato il via al processo di successione ai vertici...
Dunque Du Shuanghua spunta dal nulla e, sotto la protezione dell' allora numero uno cinese Deng Xiaoping, getta le basi per la creazione di una vera industria dell' acciaio, necessaria per sostenere l' industrializzazione a tappe del forzate di un Paese che a quei tempi era ancora largamente agricolo.
Su AsiaTimes online, Peter Lee ha cosi' raccontato il seguito della storia: “…nel 2004 Du prese la fatale decisione di risalire lungo la catena del processo ad alta intensità di capitale della produzione del ferro e dell’acciaio e di realizzare…(il suo sogno): la costruzione di un grande impianto sulla costa dello Shandong (nel nordest della Cina) che avrebbe sfruttato la produzione locale di carbone e l’ iron ore importato. Du trovò un partner entusiasta nella città di Rizhao, una località in un’ ottima posizione che da lungo tempo era stata scelta dal governo centrale per ospitare un impianto ecologico di livello mondiale e che era al centro di continue dispute tra lo stesso governo centrale, quello provinciale e quello della città. Con una impressionante dimostrazione di forza finanziaria e politica, Du riuscì a costruirlo con capitale interamente privato…Coprì personalmente il 10% del costo della costruzione – 200 milioni di yuan – e raccolse i due miliardi mancanti con una serie di prestiti da una miriade di banche locali…”.
Così nasce, col vento in poppa, la Rizhao Iron & Steel Corporation, quella che sei anni dopo pagherà – secondo i giudici di Shanghai – nove milioni di dollari al dipendente della Rio Tinto Wang Yong. La compagnia ha subito successo e ogni anno annuncia aumenti della produzione e dei profitti.
Il governo dello Shandong autorizza le operazioni di Du Shuanghua ad una condizione: deve assorbire nella sua compagnia – privata e di successo – due inefficienti e pubblici impianti siderurgici, quelli di Jinan e di Laiwu. E' la classica offerta che non si puo' rifiutare. Ma Du ha un asso nella manica. E' una carta che deve aver fatto saltare sulla sedia molti papaveri dello Shandong e che introduce un terzo elemento nella saga dell' acciaio, quello dello scontro politico all' interno del PCC. …
”Du – racconta ancora Lee – silurò l’ affare nel 2009 vendendo il 25% della sua quota della Rizhao alla Kai Yuan Holdings di Hong Kong…Due delle figure chiave nella Kai Yuan sono il presidente del consiglio di amministrazione Hu Yishi e suo padre Hu Jinxing, un direttore non-esecutivo e un cugino del presidente Hu Jintao”. Bingo! Il gran capo in persona, anche se per interposta persona! Nessuno nello Shandong si puo' opporre al numero uno, ma partita non e' ancora chiusa.
I giochi si riaprono il 5 luglio del 2009, con il clamoroso arresto di Stern Hu e dei suoi collaboratori. Ad eseguire l' arresto, sono gli agenti del Public Security Bureau di Shanghai, diretto a quei tempi da un funzionario di nome Wu Zhiming. Wu e' un seguace(e un parente) dell' ex-presidente Jiang Zemin, capo indiscusso della cosidetta Banda di Shanghai, uno delle piu' potenti fazioni del Partito che e' in permanente concorrenza con quella guidata da Hu Jintao.
Botta e controbotta, alla fine Du Shuanghua la scampa e, chiuso il processo si ributta (con alterne fortune) negli affari. Hu Jintao e Jiang Zemin procedono con la loro difficile convivenza ai vertici. La Rio Tinto fa la pace con la Cina. Il suo CEO Tom Albanese e' a Pechino quando il processo si conclude. Dice di essere “preoccupato” ma aggiunge tutto d’ un fiato che “è grande essere di nuovo in Cina” e che è venuto per “rafforzare la collaborazione” della sua impresa con i cinesi. Tutto e' bene quel che finisce bene! Per tutti, meno che per i quattro disgraziati sbattuti in galera.
FINE
domenica 7 ottobre 2012
Come fu temprato l' acciaio 2
riprendo il racconto delle vicissitudini della Rio Tinto e del mercato dell' acciaio (stalin in russo):
Con il repentino voltafaccia della Rio Tinto il gioco si fa pesante e qualche settimana dopo l' annuncio Stern Hu - un cittadino straniero ma etnicamente cinese…una circostanza che la dice lunga sui sentimenti piu' profondi dei governanti di Pechino - finisce in galera accusato nientepopodimeno che di spionaggio. Con lui vanno dietro le sbarre i tre manager cinesi Liu Caikui, Ge Minqiang e Wang Yong. I tre avrebbero ricevuto delle tangenti da manager di imprese cinesi per garantir loro l’ accesso a grosse quantità di iron ore a prezzi di favore.
Le trattative tra Rio Tinto e CHINALCO sono saltate sia per ragioni politiche – buona parte del mondo politico australiano era contraria all’ affare, che avrebbe dato alla CHINALCO, cioè allo Stato cinese, cioè ancora al Partito Comunista Cinese, una importante leva economica per piegare l’ Australia ai propri voleri – che per ragioni economiche. Infatti, mentre le trattative tra i manager dei due gruppi erano in corso il valore delle azioni della Rio Tinto era aumentato talmente che i suoi dirigenti pensavano di poter ripagare i propri consistenti debiti ricorrendo solo al mercato, senza bisogno di mettersi in casa i cinesi.
L' attacco frontale, improvviso e violento contro la Rio Tinto in Cina, si spiega quindi con queste due ragioni:
1.la necessità da parte di Pechino di riprendere il controllo di un settore nel quale la lotta tra le imprese cinesi aveva creato il caos e sostanziali perdite per le imprese stesse, che continuavano a pagare l’ iron ore più dei loro concorrenti asiatici (in maggioranza giapponesi) che avevano una gestione più razionale delle trattative e
2.una rappresaglia per il voltafaccia della Rio Tinto nei negoziati con la CHINALCO.
Tra i manager che finiscono in galera il pesce grosso è Wang Yong (per lui 14 anni di galera) che da solo avrebbe ricevuto circa nove milioni di dollari di “regali” da Du Shuanghua, l’ ex-bambino prodigio dell’ acciaio cinese. La sua storia è estremamente interessante. Suggerisco umilmente di studiarla a fondo a tutti coloro che intedono fare qualche affare in Cina. In sintesi, come per molti altri personaggi del miracolo cinese, di Du Shuanghua non si capisce come sia venuto fuori. Giovanotti appena laureati, massaie di provincia, improbabili personaggi di vario calibro diventano di punto in bianco presidenti di joint-venture e addirittura compaiono nelle classifiche degli uomini più ricchi della Cina,e quindi del mondo (spesso poi, finiscono in galera, ma questa, per usare una frase fatta, e' un' altra storia…vedi ad esempio questo articolo del Financial Times: http://blogs.ft.com/beyond-brics/2012/09/25/chinas-rich-list-bad-for-business/#axzz28Tnuq59O). Le loro biografie ufficiali sembrano (e forse lo sono!) scritte con il copia-incolla: sono nati poveri, hanno cominciato un commercio o fondato un' impresa familiare, sono stati perseguitati dalle Guardie Rosse, hanno passato qualche anno ad Hong Kong o negli USA, poi hanno fatto l' investimento giusto e le loro fortune sono decollate…(segue).
sabato 6 ottobre 2012
Come fu temprato l' acciaio
Da una notizia pubblicata dalla Reuters il 4 ottobre:
"Negli ultimi tre mesi, una brusca caduta nei prezzi del minerale ferroso ha costretto l' impresa mineraria globale Rio Tinto ad accelerare e approfondire il suo programma d taglio dei costi in tutti i suoi uffici, hanno affermato questa settimana fonti al corrente dei fatti…
L' australiana Rio Tinto - che ricava l' 80% dei propri profitti dal minerale ferroso ed e' l' impresa mineraria piu' esposta alle fluttuazioni di questa materia prima per la produzione dell' acciaio - sta tagliando posti di lavoro a Londra e Melbourne, secondo quanto ha detto alla Reuters una fonte che conosce la situazione…
"La compagnia e' stata presa completamente di sorpresa dal crollo dei prezzi del minerale ferroso'' ha affermato la fonte. "La Rio era molto ottimista sul minerale ferroso fino a pochi mesi fa ma quelle previsioni si sono rivelate totalmente errate e quindi ora sta tagliando radicalmente i costi….". (http://www.reuters.com/article/2012/10/04/rio-tinto-cuts-idUSL6E8L4HZN20121004)
Ahi, ahi, ahi.
La Rio Tinto non e' nuova a grandi exploit e improvvise cadute. La compagnia e' fortemente presente in Cina, dove qualche anno fa e' stata al centro di una drammatica vicenda di cappa, spada, affari e colpi bassi che puo' essere utile ricostruire per cercare di capire come funziona la politica cinese e come funzionano i rapporti tra establishment cinese e le imprese straniere.
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Alzi la mano chi si ricorda di Stern Hu. E di Liu Caikui, Ge Minqiang e Wang Yong? Nessuno? No problem! Nema problema! Il vostro Fuorilegge e' qui per questo, per dare una mano ai tanti smemorati, che rischiano i soldi loro e dei loro azionisti per lanciarsi sul Mercato del Presente e del Futuro.
Dunque: quei quattro disgraziati, tre anni fa si sono beccati a Shanghai delle spaventose condanne - tra i sette e i 14 anni di prigione - per spionaggio e corruzione. Stern Hu (condanna a 10 anni) e' un cittadino australiano, gli altri tre sono cittadini della Repubblica Popolare. Tutti e quattro lavoravano per la Rio Tinto, una delle tre Grandi Sorelle del mercato mondiale dell' acciaio, che, con sprezzo del buongusto e della dignita', li ha licenziati in tronco subito dopo l' annuncio della sentenza.
Ma cominciano dal principio.
L’ acciaio si ottiene lavorando il minerale ferroso (iron ore). I tre quarti del minerale ferroso estratto da tutte le miniere del mondo è nelle mani di tre grosse imprese minerarie: la Rio Tinto e la BHP Billinton angloaustraliane e la Vale brasiliana. Fino al 2009 il prezzo dell’ iron ore è stato deciso in trattative che i rappresentanti di questi tre Superpescecani tenevano una volta all’ anno con i principali clienti. Si stabiliva un prezzo base (il cosidetto benchmark) e se c’ erano variazioni nei 12 mesi successivi erano minime.
I principali clienti al giorno d’ oggi sono le imprese dei paesi in crescita, quindi soprattutto i paesi asiatici. E tra questi, la Cina fa la parte del leone: nel 2009 le sue imprese hanno importato il 70% di tutto l’ iron ore esportato dalle Tre Sorellone e da alcuni pescecanetti minori. Dunque, prima che venisse la Grande Crisi questi furboni si stavano facendo i miliardi, piu' o meno in combutta con i Pescecani locali, cioe' le grandi imprese cinesi del settore. Imprese, si badi bene, statali. Stabilito il prezzo dopo estenuanti trattative, le grandi imprese cinesi compravano enormi quantita' di iron ore, che in parte rivendevano a prezzo maggiorato ai piccoli produttori.
Fino a quando il prezzo dell' acciaio non solo e' alle stelle, ma continua a salire, tutto ok! Una fettina di torta c' e' per tutti! Ma quando comincia il maledetto (o benedetto? a volte il dubbio mi viene) slowdown, le cose cambiano e il sistema di determnazione del prezzo entra in crisi.
Riprendiamo il filo. Da parte della Rio Tinto, dicevamo, le trattative venivano condotte dall’ australiano di origine cinese Stern Hu. Da parte cinese dalla China Iron & Steel Association (CISA), che dovrebbe rappresentare tutti i produttori cinesi di acciaio. In realtà, ne fanno parte pochi privilegiati con i giusti contatti politici che poi taglieggiano gli altri produttori. La Rio Tinto è disposta a scendere ma non quanto chiede la CISA, che insiste per ottenere una riduzione del 40-45% con la motivazione, peraltro non del tutto infondata, che le imprese cinesi hanno già pagato un prezzo salato alla crisi.
Le trattative sono ad un punto morto in giugno quando la Rio Tinto lancia la sua bomba: il gigante australiano rompe le trattative in corso da alcuni anni per una joint-venture dal valore di quasi 20 miliardi di dollari con la Aluminium Corporation of China o CHINALCO per accordarsi invece con la sua supposta concorrente BHP Billiton. Una bella coltellata alle spalle, per i mandarini di Pechino!
(segue).
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