giovedì 1 novembre 2012

L' oro di nonno Wen


Ci sono due aspetti distinti nella vicenda delle rivelazioni di David Barboza del New York Times sulla ricchezza accumulata negli ultimi anni dai parenti del primo ministro cinese Wen Jiabao. Il primo riguarda la leadership cinese, i suoi equilibri interni, il suo modo di agire, il suo futuro. L' altro il giornalismo, il modo nel quale si fanno le inchieste, come si selezionano le fonti e come si verificano le notizie che forniscono.  Nel mio pezzo per l' ANSA, che pubblico qui sotto, li tratto sinteticamente entrambi. 
Un terzo aspetto, che non affronto nel pezzo ma che qui mi fa piacere sottolineare riguarda i numerosi italiani, politici, industriali e intellettuali, entusiasti della Cina e in particolare del "riformista" - a questo punto le virgolette sono d' obbligo - Wen Jiabao. Non e' forse il caso di dare un colpetto di freno e di smettere di ubbidire a tutti gli ordini dei principini (uno su tutti: quello di non ricevere quel santo vecchio del Dalai Lama) e di mendicare da loro (peraltro invano) l' acquisto di una manciata di Buoni del Tesoro? Non vi preoccupa, almeno un pochino, il giiudizio che di questa dirigenza cinese dara' la storia? Io ci penserei su…

Ecco il pezzo, al quale faccio seguire qualche riflessione e un paio di link a interessanti storie dela stampa anglosassone:


ANSA/ 'CINA NEL CAOS', SCOOP RICCHEZZA WEN COMPLICA CONGRESSO
SECONDO OSSERVATORI E'LOTTA TRA FAZIONI A POCHI GIORNI DA ASSISE

                         (di Beniamino Natale) 
   (ANSA) - PECHINO, 30 OTT - Le rivelazioni sulla ricchezza accumulata dalla famiglia del premier cinese Wen Jiabao - 2,7 miliardi di dollari, secondo la recente inchiesta-scoop del New York Times - hanno creato ulteriori difficoltà al già delicato processo di successione ai vertici in corso in Cina. 
   Mancano pochi giorni all'inizio del 18esimo Congresso del Partito (che si aprirà l' 8 novembre) e, secondo Li Weidong, ex-direttore di una importante rivista e conoscitore della
politica cinese, la dirigenza si trova "in uno stato di caos". Secondo Li, "non c'é un'autorità assoluta" e le due principali fazioni del partito - quella legata al presidente in carica Hu Jintao e quella che fa riferimento al suo predecessore Jiang Zemin - sono impegnate in una lotta senza quartiere, il cui esito è ancora incerto.
   Secondo le ultime previsioni, il nuovo Comitato Permanente dell'Ufficio Politico (Cpup, il vero centro del potere cinese) sarà composto da sette persone, invece delle nove attuali: il prossimo 'numero uno' Xi Jinping, il candidato alla poltrona di premier Li Keqiang, il vicepremier ed esperto economista Wang Qinshan, il segretario del partito di Chongqing Zhang Dejiang (un veterocomunista che ha studiato in Corea del Nord), quello della metropoli emergente di Tianjin, Zhao Gaoli, l'attuale responsabile della propaganda Liu Yunshan, e quello dell'organizzazione interna del partito Li Yuanchao. 
   Su quest'ultimo, secondo alcuni, pesa il veto di Li Peng, capo del governo ai tempi del massacro di piazza Tiananmen, del quale è ritenuto uno degli ispiratori, e che oggi fa parte del gruppo dei "grandi vecchi" che hanno una forte influenza sul partito. Il riformista Wang Yang, capo del partito nella regione industriale del Guangodong e Liu Yandong, l'unica donna tra i "papabili", sostenuta dal presidente Hu Jintao, sembrano tagliati fuori dai giochi che comunque - avvertono osservatori e "insider" sui blog sino-americani e dalle colonne dei giornali di Hong Kong - sono tutt'altro che fatti. 
   La fazione di Jiang avrebbe segnato dei punti all'interno del partito ma Hu avrebbe risposto rafforzando la sua posizione nell'esercito, con la recente nomina a capo dello General Staff Department, considerato grosso modo equivalente a quello di capo dell'esercito, del suo fedele collaboratore Fang Fenghui.
   Le rivelazioni del New York Times vengono a qualche mese di distanza da quelle dell'agenzia Bloomberg, che in luglio ha pubblicato un'inchiesta dalla quale risultava che la famiglia del presidente "in pectore" Xi Jinping ha accumulato una ricchezza di 1,73 miliardi di dollari. Sia nel caso di Wen che di quello di Xi non è risultato dalle inchieste che i due dirigenti abbiano commesso qualche reato o che abbiano agito in favore dei loro parenti, che sono gli intestatari di quelle ricchezze. La sorella, il cognato e la nipote nel caso di Xi Jinping; i figli, il fratello e la vecchia madre in quello di Wen Jiabao. Le accuse sono comunque state sufficienti a far infuriare la dirigenza, che ha ordinato la chiusura dei siti web dei media responsabili e una nuova stretta su internet, il cui accesso è negli ultimi giorni di una lentezza esasperante.
   David Barboza, il capo dell'ufficio del New York Times di Shanghai e autore dello scoop su Wen Jiabao, ha respinto le illazioni di chi ha sostenuto che abbia avuto le informazioni da rivali politici del premier. Si tratta, ha scritto, di affermazioni "ridicole" e lo scoop è frutto di un paziente lavoro di ricerca durato anni. Quale che sia l'origine dello scoop, alcuni sostengono che nuovi "dossier" potrebbero apparire nei prossimi giorni e nei prossimi mesi. 
   Altri importanti dirigenti sono stati sfiorati in passato dal sospetto di aver accumulato enormi ricchezze sfruttando le loro posizioni. Inoltre, rimane in sospeso la sorte di Bo Xilai: l'ambizioso leader caduto in disgrazia dovrebbe essere processato per gravi episodi di corruzione, abuso di potere e per aver cercato di coprire la moglie, condannata in agosto all'ergastolo per l'omicidio di un faccendiere britannico. I suoi fedeli potrebbero essere tra quelli tentati di scatenare una guerra dei dossier dai risultati imprevedibili.(ANSA).


Primo punto. Le rivelazioni su Wen Jiabao (http://www.nytimes.com/2012/10/26/business/global/family-of-wen-jiabao-holds-a-hidden-fortune-in-china.html?pagewanted=all&_r=0) e Xi Jinping (http://www.bloomberg.com/news/2012-06-29/xi-jinping-millionaire-relations-reveal-fortunes-of-elite.html) indicano che quella di accumulare ricchezze in modo peraltro non illegale - anche se ci potrebbero essere dei casi di insider trading, come sottolinea questo articolo di Peter Lee su AsiaTimes Online (http://www.atimes.com/atimes/China/NJ31Ad02.html) - e' una pratica comune per principini e principoni cinesi.

 In Cina ne parlano tutti, tutti lo danno per scontato. Di piu', tutti ritengono che sia nornale, e tra i "tutti" ci sono anche gli operatori di mercato e i loro supposti controllori statali. Spesso usano parenti o altri prestanome (il caso della signora Duan Weihong con la famiglia di Wen Jiabao) e qualche pezzo della storia emerge in circostanze particolari: per esempio il fatto che due cugini del presidente Hu Jintao hanno ruoli dirigenti nella Kai Yuan Holdings di Hong Kong, che ha grossi investimenti in Cina, fatto rivelato dallo stesso Peter Lee - che ho citato nella serie Come fu temprato l' acciaio, pubblicata su questo blog il 6,7 e 8 ottobre.
Il pericolo che si scateni nei prossimi mesi una guerra a base di rivelazioni e controrivelazioni che potrebbe essere distruttiva per gli attuali assetti di potere e' forte. 
Sintetizzando quello che vari studiosi stranieri, ma sempre piu' anche cinesi - ex-dirigenti di partito, ex-giornalisti - vanno dicendo da qualche tempo la situazione a una settimana dal Congresso  e' la seguente: non c' e' un accordo pieno e la lotta tra la fazione guidata dal presidente Hu Jintao (i cosidetti tuanpai) e quella capeggiata dal suo predecessore Jiang Zemin e' feroce. Bo Xilai, l' ambizioso leader emergente incastrato con una storia shakeasperiana di omicidi, sesso e denaro in parte vera in parte inventata, ha ancora dei sostenitori. 
Quanto al prossimo numero uno, Xi Jinping, confesso che comincio a guardarlo con una certa simpatia. Ricordate la sua sparizione all' inizio di ottobre, durata due settimane? Una delle interpretazioni emerse, che mi sembra quella piu' credibile, e' che abbia minacciato di dimettersi se non si fosse rapidamente stabilita nella guerra tra fazioni una tregua che permettesse di annunciare sia la data del congresso che l' incriminazione di Bo Xilai. Se e' cosi' se l' e' cavata alla grande, ma rimane in una posizione molto precaria.
Ecco quello che ha detto di lui in un' intervista al South China Morning Post  l' autorevole studioso Roderick MacFarquhar: "…Mao (Zedong) e Deng (Xiaoping) scelsero i loro successori, ma Xi  , che non ha la benedizione di un predecessore, avra' davanti a se un compito terribilmente duro nel gestire la miriade di problemi del paese evitando misure che potrebbero provocare la perdita del potere del partito…io tremo per Xi Jinping, non vedo come possa trovare la strada". 
(http://www.scmp.com/news/china/article/1073510/reform-unlikely-says-china-expert-roderick-macfarquhar).

Il secondo aspetto, e'  forse meno importante ma sicuramente altrettanto complicato. Non sorprende che molti abbiano sollevato il sospetto che "qualcuno" abbia imbeccato il New York Times per togliersi dalle scatole nonno Wen. Come tutti i leader in pensione anche il buon nonnino  - che agita nell' aria il ditino minaccioso solo quando parla dei tibetani  - sta cercando di piazzare amici e parenti in posizioni che gli garantiscano di essere consultato e rispettato come "vecchio" (cavolo, come si dice, "ha mantenuto un' influenza" anche un mediocre burocratello come Li Peng, perche' non lui?), oltre a un buon grado di protezione per gli investimenti della famiglia. 
Chiaro che un concorrente in meno e' un vantaggio per tutti. Inoltre, Wen e' l' unico che pubblicamente si e' esposto criticando Bo Xilai e i suoi alleati ultrasinistri. Pero' tutti sanno che dietro le quinte anche tuttti gli altri - prima di tutto, nell' ordine, Hu Jintao, Jiang Zemin e Xi Jinping erano d' accordo a fare secco l' ultrasinistro con la giacca di Armani. 
I cinesi, che amano alla follia le teorie del complotto, sono tutti convinti che l' imbeccata ci sia stata.  Al contrario, io tendo a credere a David Barboza.
L' autore dello scoop ha scritto: "…so che ci sono state voci secondo le quali sono stato aiutato da qualcuno che mi ha mandato i documenti, o da fonti che volevano attaccare il primo ministro. Posso dire con chiarezza che e' ridicolo, e nessuno potra' mai dimostrare che e' vero…non ho mani incontrato nessuno che volesse dirmi delle cose su Wen Jiabao. E non ci sono stati nemici con i quali ho preso contatto nell' anno passato. E ho detto a poche, pochissime persone quello che stavo facendo, per ragioni di sicurezza". Barboza aggiunge di aver lavorato per tre anni al pezzo e di aver usato solo fonti pubbliche - anche se difficili, faticose e in alcuni casi costose da raggiungere. Gli credo perche' la mia limitata esperienza di giornalista italiano all' estero - che non ha l' accesso e la credibilita' dei giornalisti che scrivono in inglese su organi di stampa che tutti in Asia leggono, al contrario dei nostri - mi ha insegnato che i veri scoop si fanno cosi', col lavoro duro e con i contatti faticosamente costruiti, con la costanza nel seguire una traccia che a tratti sembra non portarti da nessuna parte. Quelli fatti di dossier, di rivelazioni di inconfessabili segreti sono di solito bufale alla Murdoch, come i Diari di Hitler (vedi il mio post Gli Infortuni dello squalo Rupert, del 3 ottobre) o, peggio, come quello di Tony-primo-della-classe-Blair e del suo orribile addetto stampa Allistair Campbell sulla bomba atomica africana di Saddam Hussein, che non esisteva ma che e' servita a giustificare la guerra in Iraq.
Perche' ora? Semplice, perche' un' inchiesta si pubblica quando e' completa. Un anno fa avrebbe danneggiato Wen Jiabao altrettanto, e forse piu' di adesso. Lo stesso se fosse stata pubblicata dopo il congresso. 
Perche' Wen? E perche' no? E' stato per dieci anni il secondo uomo piu' potente della Cina, e non si indaga su di lui, su chi si indaga? Si dice che e' "impossibile" che gli occhiuti servizi segreti cinesi non abbiano saputo dell' indagine. Io non ci credo. Ci sono molti giornalisti, in Cina, che riescono a fare delle cose tenendole nascoste per qualche tempo ai servizi cinesi che sono bravi spioni ma non sono onnipotenti. 
Infine, come lo stesso Barboza e tanti altri hanno detto, erano anni che si parlava dei gioielli della moglie di Wen e degli investimenti di suo figlio…In conclusione credo assolutamente possibile che Barboza e il NYT siano riusciti a tenere nascosta l' inchiesta fino alla pubblicazione. Per me, e' una storia da scuola di giornalismo, non da teoria dei complotti.

Ecco il testo dell' "autodifesa" di David Barboza:

  "I know there has been speculation that I was aided by someone who sent me documents, or some sources who were keen to attack the prime minister. I can say clearly that this is ridiculous, and no one will ever provide any evidence of it being true. I began working on this story more than a year ago, as part of a series on State Capitalism. I began to gather evidence on this more than three years ago. But the outlines of the story became more clear to me in November 2011, when I already had enough documents to show that the Wen family had access to billions of dollars worth of Ping An shares. I wrote a draft of the top of the story that month, with the advice of one of my colleagues. I hoped to finish the story as part of my series on State Capitalism, in December 2011. But that proved impossible -- thank goodness!
As I continued to research, I came upon more and more companies and got addicted to requesting corporate documents. And then there were  more questions about not just what these companies were doing and how they fit together, but who many of the people were. I couldn't quite  figure out how the family was doing it because the identities of so many of their partners were obscured.
Only in July, for instance, did I find out the name of Winston Wen's wife.
Only in August did I realize that two major shareholders were the parents of Winston Wen's wife. Understanding dozens of investment vehicles and searching regulatory records of stock exchanges and visiting the sites of companies, etc., has taken much of the past year.
 As far as the family's corporate holdings, I never received a single document from a source. I never met anyone who wanted to give me things about Wen Jiabao. There were no enemies I came into contact with over the past year. And I told very, very few people what I was doing -- for safety reasons.
I know the timing of my piece appears odd, but that has more to do with my inability to finish the project and understand all the connections. We hired an auditor. I constantly talked to lawyers and
accountants about what the documents meant while keeping from them whom I was investigating.
My colleagues at The Times can verify my accounts, because many of them know I've been doing this, on and off, for a year -- sometimes just sitting and waiting for corporate documents. Occasionally I was pulled away to do other stories so that I did not entirely abandon my post as Shanghai business correspondent. I hope that answers some of the questions and speculation. The story I wrote was entirely based on documents. A handful of sources in the  late stages of the story began confirming aspects of it. But none of hem gave me documents".

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