venerdì 26 ottobre 2012

Tibet, niente ferma le immolazioni


Tamdin Dorje, 50 anni; Lhamo Kyab, poco piu' di 20 anni;  Dorje Rinchen intorno ai 50 anni e Dondup, che aveva piu' o meno 60. Le loro "autoimmolazioni" - i suicidi che vengono realizzati cospargendo il proprio corpo di kerosene e poi dandosi fuoco - portano a 58 il totale di quelle che si sono avvenute in Tibet (espressione con la quale indico la Regione Autonoma del Tibet e le aree a popolazione tibetana della province del Sichuan, Gansu, Qinghai e Yunnan) a partire dal marzo del 2011 (solo una si e' verificata prima, nel 2009). Le ultime quattro "autoimmolazioni" sono avvenute in poco piu' di una settimana, dal 13 al 23 ottobre. Tutte e quattro si sono verificate nella prefettura autonoma tibetana di Gannan (Xiahe in cinese), nel Gansu, dove sorge il monastero di Labrang, che sta diventando uno dei centri della rivolta. La tendenza ad un' accelerazione di questa terribile forma di protesta e' evidente. Le forze di sicurezza cinesi sono presenti in forze e cercano in tutti i modi di impedire che le immolazioni abbiano luogo, senza successo. Il governo tibetano in esilio - il cui vero e' Central Tibet Administration - le ha condannate (pur condividendo "le aspirazioni" dei suicidi, come spiega il suo "kalon tripa" o primo ministro Lobsang Sangay nell' intervista che mi ha concesso, e che pubblico qui sotto). Ma nulla sembra in grado di fermarle se non un' iniziativa politica che riapra i giochi nel Tibet e della quale non si vede traccia.

ecco l' intervista:

ANSA/ TIBET: SANGAY, 'SOLO IL DIALOGO PUO' FERMARE IMMOLAZIONI'
CAPO GOVERNO TIBETANO IN ESILIO, CINA TORNI A TAVOLO NEGOZIATO

(di Beniamino Natale) (ANSA) - ROMA, 25 OTT - Secondo Lobsang Sangay, ''kalon trippa'' (primo ministro) del governo tibetano in esilio, il dramma delle immolazioni potra' finire in Tibet solo con ilritorno della Cina al tavolo delle trattative. Fino ad oggi 58 tibetani (50 uomini e otto donne) si sono immolati col fuoco in segno di protesta contro Pechino, e almeno 49 di loro sono morti per le ustioni riportate. ''Noi abbiamo condannato le immolazioni e abbiamo chiesto ai nostri compatrioti di smettere, ma non ci ascoltano;sono gesti dettati dalla disperazione'', spiega Sangay in un'intervista all'ANSA.
   Sangay, 44 anni, e' in Italia per partecipare alla presentazione del progetto ''Nuovo Metodo'', un'iniziativa di aiuto agli studenti tibetani in esilio lanciato da 12 organizzazioni non governative italiane col sostegno della provincia di Roma.  ''Condanniamo le immolazioni - ripete - ma condividiamo le aspirazioni di coloro che hanno scelto questo metodo di protesta. Cosa chiedono? Prima di tutto, il ritorno in patria del Dalai Lama; e in secondo luogo la liberta' per i tibetani''. ''Liberta' per noi significa una genuina autonomia amministrativa all'interno della Cina, nel quadro della Costituzione cinese'', puntualizza. 
   In Cina e' in corso un difficile processo di rinnovamento della leadership, con la generazione degli ultrasettantenni guidata dal presidente Hu Jintao che si appresta a cedere il passo ai 'giovani' sessantenni nel 18esimo Congresso del Partito comunista, che aprira' i suoi lavori l' 8 novembre. A Hu succedera' il suo attuale vice, Xi Jinping. Pechino e i rappresentanti del Tibet non si parlano dal 2008, quando circa 200 persone - secondo fonti tibetane - morirono in una violenta rivolta anti-cinese pochi mesi prima delle Olimpiadi di Pechino. ''Non mi aspetto immediati cambiamenti dalla nuova leadership'', afferma Sangay, ''ci sara' bisogno di un periodo di consolidamento che durera' almeno fino alla prossima primavera. Qualcosa di nuovo si potra' vedere a partire dal marzo del 2013. Certo, pressioni piu' forti da parte di Unione Europea e Stati Uniti sarebbero utili''.
   Lobsang Sangay, nato in esilio a Darjeeling, in India, si e' laureato in legge nel 2004 nella prestigiosa Universita' di Harvard, negli Usa, grazie ad una borsa di studio del Fulbright Program. In seguito, e' rimasto a Harvard come docente. Nell' agosto 2011 e' stato scelto come capo del governo tibetano in esilio, che ha sede a Dharamsala in India, da circa 50mila esiliati tibetani  in grado di partecipare alle elezioni. Pochi mesi prima il Dalai Lama, leader tibetano e premio Nobel per la pace riconosciuto in tutto il mondo come il portavoce della causa del suo popolo, aveva rinunciato al ruolo ''politico'' di capo del governo in esilio. 
La ''rinuncia'' del Dalai Lama ha fatto del ''kalon tripa'' Lobsang Sangay la figura pubblica piu' autorevole, proiettandolo nel ruolo d'interlocutore della Cina, se questa decidera' di tornare al dialogo con i tibetani.
  Sangay non sembra spaventato dal compito: ''Ora il dialogo e' fermo - osserva -, ma penso che i cinesi mi conoscano e mi prendano sul serio. Per il momento il mio compito e' lavorare duro per mantenere la speranza dei tibetani in un futuro diverso''. (ANSA).

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